Delle definizioni fuorvianti e dei loro effetti

Che le parole siano importanti è una semplice e candida verità.

Nel lessico moderno che si usa per definire le cose di strada esistono una serie di definizioni fuorvianti, e secondo me dolosamente fuorvianti, su molti aspetti della fenomenologia stradale. Il fatto che la società non se ne accorga è una delle tante prove dell’immensa rimozione collettiva che i contemporanei attuano quando si parla di vicende di traffico, viabilità, mobilità. Solo estraendosi da questa sorta di melma rallentante e vivendo una vita differente, come in numero sempre maggiore stiamo facendo noi ciclisti quotidiani urbani,  si riesce a vedere con chiarezza quante definizioni siano ribaltate o ingiuste.

La regina di queste definizioni è quella che bolla i ciclisti come utenza debole: una marchiatura che grida vendetta sotto più di un aspetto.
Noi ciclisti quotidiani abbiamo due gambe d’acciaio, natiche notevolmente toniche e anche il resto del corpo sviluppa e usa una discreta quantità di  forza fisica, proprio perché il nostro motore è l’intero corpo, il primo utensile dell’essere umano. Abbiamo riflessi da faina, necessari per schivare i lobomotorizzati che pensano di essere soli al mondo; dobbiamo persino sviluppare quella forma di incoscienza limitrofa al coraggio per farci strada in una città incistata di macchine nervose e dalla notevole massa, letale in caso di scontro.
E ci vengono a chiamare utenza debole? Debole sarai tu, con le tue natiche mollemente incastonate in una poltrona, che sia della macchina, dell’ufficio o del soggiorno di casa. “Ma noi ci riferiamo al fatto che se vi investiamo vi fate male”, pigolano in risposta i benpensanti. Ecco bravi, non ci investite, aprite occhi e cervello: e realizzate che, come tutti, ci possiamo rompere le ossa. Fragili come chiunque, non certo deboli.

Altro fenomeno paranormale del lessico stradale è chiamare incidenti gli scontri tra veicoli.  Incidente evoca la casualità, un’occasione eccezionale. E invece gli incidenti sono un fenomeno inalterabile a parità di veicoli presenti: ci sono da quando esiste la mobilità tramite veicoli concentrati in un luogo definito. “Ops! ho fatto un incidente, ma guarda un po’!”. Una quota costante di scontri non è definibile casualità.

Pirata della strada è quel criminale deficiente che scappa dopo aver travolto qualcuno: egli è in realtà, appunto, un criminale che commette un reato. Se lo definisci pirata evochi, anche in questo caso, qualcosa di considerato carino fin dalla nostra più tenera età: chi non si è mai mascherato da pirata a Carnevale da bambino? E Johnny Depp dove lo mettiamo? E tutto il romanticume attorno ai pirati? Invece qui c’è ben poco di romantico: un vigliacco che scappa dopo aver ferito o ucciso qualcuno è un criminale.

Sosta selvaggia: anche qui interviene il maledetto romanticismo. Il selvaggio è bello, ha un corpo atletico, corre nella foresta con arco e freccia, è Tarzan, è gli alieni di Avatar, le ragazzine si mettono i poster dei selvaggi in cameretta, il selvaggio è seducente.
Quello di cui parlo io è quell’idiota [sovrappeso] che ha piazzato il suo Suv o la sua Smart sul marciapiede, o davanti un portone, o su uno scivolo per le carrozzelle. Quello è un puro e semplice idiota borioso e prepotente, altro che Tarzan.

Gli effetti di queste definizioni fuorvianti sono semplici: tendono ad autoassolvere un’intera società dai suoi comportamenti stradali imbecilli o criminali. Né più né meno.

L’elenco potrebbe continuare ma già così mi sale abbastanza il veleno.Se volete continuate voi, io e le mie toste gambe andiamo a fare un giro in bici. Utenza debole a tua sor…. mmhhhhhhhhhh

 

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