Biciclette al Quirinale

Un migliaio di biciclette di fronte al Quirinale. Non s’era mai visto, ma non è l’unico aspetto di novità della serata di ieri a Roma: non s’era mai visto un movimento spontaneo, senza organi, strutture e ufficialità essere ricevuto dalla massima istituzione di questo dannato paese all’improvviso e senza particolari formalità (io per esempio ci sono entrato con addosso la maglietta degli All Blacks, messa per significare la mia opposizione all’Italia di oggi, pestifera e mortalmente inerte); a detta delle guardie a presidio della piazza, in 60 anni di repubblica non si era neanche mai visto accendere delle fiamme nella piazza del Quirinale, fossero pure delle fiammelle di candela messe lì a ricordare chi è morto sotto le larghe gomme della piaga automobilistica.

Abbiamo parlato in tre con uno dei 6 consiglieri di Napolitano, una sorta di ministro del presidente, consegnandogli anzitutto la lettera aperta del movimento, nata come un urlo di dolore dopo l’imperdonabile uccisione di A.T., domenica scorsa, e il Libro Rosso della ciclabità che è scaturito dai due giorni di stati generali della bicicletta a Reggio Emilia. Abbiamo parlato per quasi un’ora e mezzo. Erano consapevoli delle caratteristiche del movimento, ma anche di come sta cambiando l’idea stessa dell’uso della bici: senza particolari stimoli da parte nostra, il consigliere ha riconosciuto per primo che la bicicletta non è più il mezzo della domenica come è stato inteso negli anni della motorizzazione di massa, e che le piste ciclabili sono spesso un alibi delle amministrazioni locali per pulirsi la coscienza e darsi una mano di verde sulla carta. La discussione quindi è partita bene, e si è sviluppata decentemente. Come tutti sappiamo, la presidenza della repubblica non ha poteri né amministrativi né men che mai legislativi. Ma il consigliere ha affermato più volte che tutta la “moral suasion” possibile verrà esercitata da Napolitano, che pare essere molto sensibile al problema (anni fa sua moglie fu messa sotto da un’automobile proprio di fronte al Quirinale) e, parole sue, vuole “usare la mano pesante” quando parlerà dell’argomento della mortalità stradale. Ha anche specificato che il settennato è in scadenza e la possibilità di rompere le balle è un po’ inferiore al normale, ma che comunque verrà detto e pressato il possibile, pensando anche a una “scaletta di interventi” da mettere in campo da ora per premere sulle amministrazioni di ogni livello. Ci ha anche chiesto di proporre azioni -condivisibili- alle loro strutture.

Questo in sintesi ciò che abbiamo ottenuto ieri sera, mentre erano in corso manifestazioni spontaneamente convocate in 32 città d’Italia, per dire “basta alle morti in strada”. Lo accogliamo con il consueto scetticismo di chi da anni si sente fare promesse e sente belle parole, mentre a livello del suolo (e non solo) nulla cambia. Tant’è, ma portiamo a casa un risultato che poteva anche non esserci.

Mi preme sottolineare una cosa: anche se lentamente, questo dannato paese si sta svegliando sotto le martellate mediatiche e anche in parte di piazza di un movimento spontaneo: perlomeno, dal punto di vista della coscienza di ciò che accade in strada. Questo strano momento di ieri, in cui tre persone qualsiasi hanno avuto accesso anche abbastanza onorevolmente al palazzo più protocollare d’Italia, formalmente anche se in modo informale, significa soprattutto dare un segnale.

Noi di #salvaiciclisti agiamo per simboli, perché altro non possiamo fare. E quello di ieri è stato un simbolo forte: non tanto per noi quanto per la gran massa dei distratti, di quelli che fanno spallucce, degli ometti e delle donnine che dicono con il loro sorrisetto stolidamente ironico che “le cose stanno così, èè inutile agitarsi”, a quei fatalisti che scambiano per saggezza la loro inerzia e continuano, imperterriti, a rovinare la vita a sé e agli altri bevendosi acriticamente il più grande inganno di questo paese malincantesimato: che la macchina sia necessaria, e che nulla si possa fare. Il cammino per il cambiamento è appena iniziato, cominciate a pensare che un cambiamento non solo sia necessario e possibile ma che sia anche a portata di mano.

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