Domenica scorsa sono avvenuti due episodi secondo me fondamentali per capire dove siamo, chi siamo, come stiamo.
Alle prime ore della mattina, nella zona dei locali del Testaccio, due bestie a bordo di una macchina hanno urtato un ragazzo con l’auto e dopo averlo fatto cadere in terra hanno inserito la retromarcia e gli sono passati sopra. Il ragazzo, che le cronache locali non mancano di definire nella sua qualità di immigrato marocchino, è ricoverato in gravissime condizioni in ospedale. Non si è capito se ce la farà a sopravvivere o no.
Sempre domenica, poche ore dopo il fatto del Testaccio, centinaia di romani, e altri ospiti di altre città italiane, in tutto circa 500, hanno dato vita a una delle più delicate e belle esperienze che questa città abbia vissuto: la Tweed Ride chiamata a Roma “La belle époque”. Centinaia di uomini e donne in abiti vintage (tra anni ’20 e ’40, per capirsi) a bordo di bici in larga parte anch’esse vintage o comunque dall’aspetto inizio ‘900 (tanto la bici è cambiata poco negli ultimi cent’anni) hanno sfilato tra ponte Milvio e villa Borghese, passando da piazza del Popolo, per poi terminare la sfilata su un prato, con picnic in pieno stile Manet.
Non posso fare a meno di sottolineare la distanza abissale tra i due fatti accaduti praticamente in contemporanea. Esistono due Rome (per tacer della terza, quella che tace e che ingoia di tutto tranne la riunione del proprio condominio, la Roma del generone piccoloborghese): una Roma preda di bestie la cui principale caratteristica è la vigliaccheria violenta, l’altra che cerca di avere dall’esistenza il sorriso che si merita.
Pesantezza e brutalità da un lato, leggerezza e piacevolezza dall’altro. Il sordo battere del tamburo da guerra tribale da un lato, il soffio dell’aria tra i fili d’erba dall’altro. La voglia di scontro contro la voglia di incontro.
Da molti anni vivo a Roma, la città in cui sono nato: a mia esperienza -e non sono certo un’educanda- due fatti così enormemente distanti, alieni l’uno all’altro, non li avevo mai visti accadere nello stesso lasso temporale. La “simpatica burineria romana” sembra essersi trasformata in qualcosa di più simile alle storie narrate da Nicolai Linin in Educazione Siberiana; mentre l’altra simpatia romana, quella della gita fuori porta, del convivio, sembra addirittura essersi organizzata per accentuare, riacciuffare quelle piacevolezze che la gente serena e onestamente coraggiosa (come altrimenti definire chi si sposta quotidianamente in bici in città?) forse sente che stiano sfuggendo dalla casa comune chiamata Roma.
C’è una distanza sempre maggiore tra queste due Rome, distanza che potrebbe sfociare in contrasto anche aspro. Ho una sola speranza: la seconda Roma, dopo anni di sfascio etico collettivo, sta crescendo. Come sapete, e non lo sapete certo grazie al Campidoglio che anzi ha cercato di nascondere questi dati, la quota i cittadini che si spostano abitualmente in bici in città è passata in meno di due anni dallo 0,4% al 4% del totale degli abitanti. Con ciò non intendo fornire l’immagine “i ciclisti urbani sono l’unica parte buona di Roma”, ma di sicuro ne fanno parte: e si stanno organizzando per essere sempre di più: e credo proprio che anche le altre pratiche di civiltà che questa città ancora ospita stiano facendo lo stesso.
Ma non scordiamoci del lato bestiale di questa città, colpevolmente lasciato andare nel miglior stile nullafacentista della peggiore Italia: ancora esiste, esisterà per sempre, il nostro dovere è quello di riportarlo nel recinto a grufolare. Atteggiamenti che vediamo anche nell’assurdo, e anacronistico, traffico romano.
Ps e disclaimer: quando parlo di “bestie” non mi riferisco ai nostri cugini del mondo animale, ma all’aspetto feroce e selvaggio della scimmia umana.