La città immobile

Criceto russo54

Non è un bilancio di fine anno. Non c’è nessun bilancio da fare. Non è successo niente.

Anni fa, durante i consueti aperitivi prima di pranzo, Mario Monicelli usava deliziarci con le sue ironie di anziano caustico. Una di queste era sostenere che a Roma non succedeva mai niente. Noi, i cosiddetti giovani (tutti quarantenni, chi più chi meno) contestavamo. “No, ma è vero, non succede niente -replicava alle proteste-. Sai dirmi una cosa che è successa?”. E noi giù a sciorinare romoli, imperi, invasioni, papati, monumentalità. “Tutte stronzate, quelli erano pochi, a fa’ la guerra so’ boni tutti, due-tre tiranni non sono la vita, la vita è il popolo e qui il popolo non combina niente”.

Opinione del sor Mario. Io mi contento di oppormi all’assenza di movimento, seguendo la mia indole. Ma a volte mi vedo costretto a dargli ragione, anche se resisto e non voglio.
E così pare che vada: senza appigliarsi al facile capro espiatorio chiamato sindaco (o siniscalco, baccelliere, borgomastro, chiamate queste figure apicali come vi pare),  la città di Roma continua nel suo eterno lasciarsi andare. Sappiamo tutti che quando un corpo è inanimato esso cade: che sia a due o quattro zampe, l’animale senza energia cade al suolo. Roma è così: un corpo inanimato, sdraiato al suolo non per scelta ma per mancanza di vitalità.
Scendendo poi nel dettaglio degli anni nostri, sono ancora contento che si sia eliminata la ferita di un fascista al Campidoglio, simbolo terribile di una società sfatta al punto di godere del tanto peggio tanto meglio. Ma appunto simbolo. Abbiamo lasciato che entrasse una faina nel pollaio e i polli siamo noi, nessun lamento.
Attualità: la nuova figura apicale va in bicicletta (lo incontro spesso, l’ultima volta oggi). E qui si ferma. Ancora un simbolo, stavolta positivo. Ma non si va oltre.

Roma oggi: al solito spettacoli di strada, molte roboanti parole, alcuni convegni a uso del sottobosco burocratico. Di tutto, per nascondere (e nascondersi?) una realtà fatta di frustrazione, suolo comune occupato in ogni dove, la regola semplice del “pagare mazzetta-fare come c. ti pare”, aperitivomafie, magna’ e bève. Un luna park semitossico, dove capita di perdere la vita sotto le ruote delle troppe macchine che ingombrano ogni angolo di città e inarcano le strade nuove e antiche. Incontrastate perché siamo noi. Anzi siamo “io”, la vera iattura della sommatoria di individui che rende oggi inanimata ma affollata questa città che appare maledetta dalla sua troppa bellezza passata.
Seppellita sotto un presente che schiaccia con la sua massa inerte e incapace di costruirsi il futuro ma molto brava a sciommiottarne a parole uno plausibile solo guardando ad altri paesi, altre città, altre popolazioni, e contentandosi delle parole.
Una piccola fetta di società prova a scuotere il resto, senza esito per i troppi interessi personali, le inerzie, del suddetto resto. E questo è tutto. Non c’è sindaco che tenga.

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