Il troll di partito: nuova figura di cui non sentivamo la mancanza

troll

Ora vi racconto una storiella, e capirete perché non vi comparirà il nome del personaggio né link che possano “nutrirlo”.
Sapete che nel gergo della rete di dice “don’t feed the trolls”, non date da mangiare ai troll. Per chi invece non lo sapesse, la frase invita a non andare dietro alle provocazioni di utenti del web che intervengono ad minchiam nelle discussioni per provocare casino e/o sviare l’attenzione. 

La storiella coinvolge da una parte uno dei cosiddetti peones del Parlamento, uno di quei deputati o senatori particolarmente ignoti alla massima parte degli italiani e che solo commettendo atti inverosimili (pensate a un Razzi o a uno Scilipoti, per dire) riescono a bucare lo spesso diaframma dell’anonimato. Dall’altra, tutti i ciclisti d’Italia.

Capita quindi che, alla fine di un bel novembre italiano, uno di costoro s’inventi, nel segreto della sua cameretta parlamentare, un articoletto da aggiungere alla riforma del Codice della strada, in cui senza usare termini espliciti si prevede in buona sostanza un bollo e una targa per le biciclette.
Ovviamente è una fesseria immane, e magari l’oscuro parlamentare neanche aveva calcolato l’effetto possibile: che il suo lavorìo venisse notato e che questo determinasse una catastrofe via web. Invece lo scopriamo e in un paio di giorni la cosa diventa un tormentone, fino al lancio di un tweetstorm (#labicinonsitocca) che in poche ore raggiunge la vetta dei trending topics (scusate per l’abuso di inglese, ma va così). La vicenda ha ovviamente una ricaduta mediatica notevole.

L’andamento delle reazioni del nostro è stato altilenante: dapprime risponde con boria e supponenza -e anche qualche insulto ma in fin dei conti nei social è normale- alle richieste di spiegazioni sull’abominio messo in cantiere, perché così è stato interpretato unanimemente. Una volta risvegliati i media, sia quelli di settore sia quelli più grandi, il peone fa invece mostra di umiltà, pentimento, comprensione delle critiche e anche rispetto per gli schiaffoni ricevuti da migliaia di mani.

E qui la trasformazione: qualche giorno dopo da peone si trasforma in troll. Compreso che ormai la bufera era superata, ha ricominciato a difendere, sempre con boria e disprezzo dell’opinione altrui, quello sgorbio normativo da lui partorito, con aggiunta di emoticon (le “faccine”) beffardi e affermazioni adolescenziali sullo stile “no, no e no che non lo ritiro”. Chi, come me, ha promosso la reazione civica a quell’assurda proposta, e alla successiva modifica peggiorativa, ha provato lo sconcerto dell’impotenza: “ma come -abbiamo ragionato con gli altri organizzatori del tweetstorm-, migliaia e migliaia di persone gli dicono che sta facendo una cazzata e questo insiste? Ma è scemo o che?”.

Abbiamo deciso che era “o che”. Secondo noi il tipo, capito che da questa storia può trarre, per quanto sia miserabile e patologico questo ragionamento da “purché se ne parli”, una qualche insperata notorietà. Appunto, alla SciliRazzi. Incurante del ridicolo, che riverbera peraltro sul suo partito che proprio piccolino non è, cerca la rissa sperando in un nuovo rigurgito di evidenza pubblica del suo nome. Un atteggiamento dunque da troll.

E qui arriva il nostro vero problema, di fondo: un parlamentare avanza una proposta non solo idiota ma persino pericolosa per mille e un motivo, una folla ingente di persone lo critica e gli chiede di ritirare la proposta, ma questo prosegue per la sua strada e anzi rivuole lo scontro. E’ a questo punto che ci rendiamo conto dell’esistenza del troll istituzionale, o di partito: non solo gli conviene lo scontro, ma neanche può essere arrestato con le parole, perché in fin dei conti la penna in mano ce l’ha solo lui. I suoi compagni di partito non sembrano volerlo fermare, malgrado il danno che ne deriverà a tutti loro, e noi non abbiamo altri strumenti oltre alla creazione del dibattito pubblico, l’informazione spontanea per verificare il tipo di consenso o dissenso, e la capacità di risvegliare i media: cose che porterebbero nuova forza (il “cibo”) al troll di partito.

Un episodio pericolosissimo, in cui l’unica arma a noi rimasta è quella “finale”, ovvero la sottrazione di consenso durante una delle periodiche chiamate alle urne di questo paese. Arma peraltro spuntata, perché del notevolissimo astensionismo se ne fregano tutti, e le alternative a quel partito possono legittimamente essere considerate impotabili da alcuni. E comunque il danno sarebbe fatto. Di fatto, il troll istituzionale appare imbattibile. O no?

(Un’ulteriore riprova dell’utilizzo del trolling alla ricerca di visibilità s’è avuta anche qualche giorno fa, quando in totale controtendenza con la totalità dei media che si sono esercitati sulla vicenda, spunta un post -anche in questo caso non citerò o linkerò la testata, proprio per evitare piaceri gratuiti al parassitario intervento- che giocando sagacemente sul filo del paradosso auspica la targa a quei cattivoni dei ciclisti, tratteggiati lievemente come veri e propri killer stradali e fonte di ogni malversazione su asfalto. L’ha scritto una donna, su un web magazine noto per la sua irriverenza un po’ forzosa. Trollesca, si potrebbe dire).

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