L’indecisione

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Ammettiamolo: noi romani non sappiamo cosa fare, chi votare.

Gli indecisi sono obiettivamente la maggioranza. Chi ha un’opinione precisa su chi deve essere il prossimo sindaco di Roma (se anche questo incarico pubblico abbia un senso, dopo la cacciata di Marino) è altrettanto obiettivamente una minoranza. Oltre la metà dell’elettorato attivo non andrà a votare, nel restante 40 e spicci per cento la mente annaspa per una buona metà, i decisi neanche s’informano più: tanto hanno deciso. Nel frattempo siamo arrivati all’ultima settimana prima del voto. Provo quindi a mettere in fila qualche pensiero, magari può essere di spunto. Naturalmente il mio interesse concreto è diretto inesorabilmente alla modifica dell’uso delle strade, la nostra ultima agorà. La mobilità moderna,quella che altrove già accade. Pensieri semplici, premetto.

Sono un uomo di sinistra. Non mi interessa la vulgata secondo cui sinistra e destra non esistono più, per me è una sonorissima cazzata: mai smetteranno di esistere coloro che vogliono vedere cosa ci sia dietro l’angolo, mai smetteranno di esistere coloro che l’angolo lo arredano convinti che la vita sia quella. Non considero dunque i candidati di destra.

Dal lato “””progressista””” ci sarebbero Fassina, Giachetti, Raggi. Con il loro portato alle spalle, compreso Fassina che considero l’unica persona con una stuttura disorganizzata alle spalle (e questo è un bonus). Naturalmente ho letto i loro programmi, consapevole che il prima non è mai uguale al dopo.

Stefano Fassina è istintivamente e ragionatamente la mia scelta. Ho però, e quelli come me hanno,  un problemino non di poco conto: malgrado le qualità personali e la preparazione politica, negli anni ’10 del terzo millennio in Italia la sinistra “rossa” si trova in una posizione di assoluta esiguità: è un’evidenza. Magari avesse il 50% più un voto, ma credo che non sia questo il momento. E ho bisogno di un borgomastro che rimetta mano a Roma. Il programma di Fassina sulla ciclabilità ha incorporato integralmente i punti proposti da SalvaICiclisti. C’è un’alta probabilità che voti per lui al primo turno.

Roberto Giachetti: un brav’uomo ma con alle spalle l’inferno affaristico/antietico chiamato Partito Democratico. Qui devo tenere a bada i miei istinti assassini e cercare di ragionare a mente fredda. Ho letto la parte mobilità del programma e in sintesi lo trovo “sviluppista”: più questo, più quello, mai una parola sul “meno”, che poi è il nucleo fondante di una strategia per la ciclabilità. Per esempio, non una parola su “meno automobili, meno o nessuna doppia fila, meno parcheggi”. Anzi sui parcheggi, silos Termini compreso (sponsor: Pd, appunto. Unico in Europa. Folllia affaristica seconda solo alla MetroC) si propone una facilitazione, e non un netto sfavore. Una mancanza di visione ovvia, in quell’organizzazione. C’è la sensazione (e in questo l’esperienza pregressa aiuta moltissimo) che abbia inserito la ciclabilità per dovere di propaganda e non per seria convinzione. Non ha colto niente (solo un tweet di adesione, smentito dal programma) delle proposte di SalvaICiclisti.

[A margine, inserisco una nota polemica: nell’ultima amministrazione romana abbiamo avuto anche espressioni di quella parte politica come questo figuro: e a mia domanda diretta, il candidato Giachetti non ha voluto smentire quanto affermato da costui]

Virginia Raggi. Qui il discorso si fa complesso. Il soggetto politico che ha alle spalle, il Movimento 5 Stelle, ha preoccupato molti, negli anni. La persona mi pare eccezionalmente determinata e pulita, direi anche dura e determinata: capace. Nel suo programma ha inserito di fatto (con qualche aggiustamento lessicale) i punti proposti da SalvaICiclisti. Resta il salto nel buio del dare fiducia a un M5S che ha aspetti preoccupanti o repellenti (un certo sceriffismo, una certa inclinazione a non rifiutare rottami destrorsi). Un argomento monstre che davvero non so come maneggiare, anche per mancanza di frequentazione e dunque parametri. Le mie e nostre letture di quel pezzo di società sono dovute essenzialmente all’informazione, che -e lo dico da professionista- nei nostri anni è pesantemente drogata: non resta che affidarsi all’istinto, con tutte le sue fallacità.

Si cambia dunque campo: dal terreno della politica amministrativa si passa a quello dell’umanistica applicata. E’ necessaria una figura apicale? Per me, tendenzialmente anarchico, no; secondo l’attuale sistema sì. Non posso dunque fare a meno di considerare l’onda di questo mare. E’ in grado il M5S di esprimere una figura apicale di amministrazione? Pioggia di asini sulla domanda. Provo a ragionare: siamo di fronte a una proposta inedita in Italia: vero o no che sia, quella gente si pone come l’uomo comune, che un po’ riecheggia l’esperienza, giustamente fallita, gianniniana dell’uomo qualunque.

Ma Virginia Raggi? Sono costretto a dire che mi convince: e non vorrei dirlo perché rifuggo dall’apicalismo, dal leaderismo, dal focus sulla persona singola. Ma lo dico senza vergognarmene. La sto osservando da tempo, un po’ da estraneo. Ma non mi sembra un’estranea. E’ un po’ strano quello che induce quell’esile donna: pur appartenendo a un’esperienza che io sento aliena, mi sembra una parente. Una ragazza di San Giovanni, che se non avesse 37 anni (io ne ho 52) avrei probabilmente trovato nella compagnia (si diceva così negli anni ’80) di via Tommaso da Celano che da pischello frequentavo (e, tra parentesi: tra quegli allora pischelli ci sono persone che hanno fatto strada nella vita, quindi non riduciamo il pischellame a giocattolo).

Basta una sensazione per dare fiducia? Ognuno si risponda, e qui resta la radice dell’indecisione che dà il titolo al post e che sento come collettiva. Sottolineo che, pur essendo Virginia un bersaglio non da colpire ma da abbattere, gli altri competitori non hanno finora trovato armi utili: direi che, essendo gli avversari (le strutture dietro le persone) dei professionisti del killeraggio, i loro tentativi fallimentari gettano a ogni puntata una luce positiva sulla candidata Raggi.

Però sento una verità di fondo in questo momento assurdo: so per certo cosa sia, e quanto vada evitata con la massima cura, la strada vecchia. Dunque non ho nessuna paura di andare lungo la strada nuova.

Credo proprio che al primo turno darò forza a Stefano, e al secondo -se mai ci sarà- darò fiducia a Virginia. Ho una sola alternativa alla scelta attiva: andare a votare e annullare la scheda, adottando dunque la linea della scelta passiva. Sono sicuro che molti come me siano da tempo di fronte a questa scelta e lo trovo un bene, perché quanto meno rivitalizza un po’ l’esangue corpo della partecipazione delegante.

Di una sola cosa sono certo: non smetterò mai di praticare e indicare l’azione diretta, perché la delega non fa parte della mia struttura: sono solo costretto a considerarla dallo stato di necessità.