Ancora sul fascismo stradale

E’ passato un giorno da un mio post in cui ho introdotto il concetto di “fascismo stradale” e sto osservando con un certo sconcerto alcune reazioni esagitate nei vari canali social in cui intervengo. Faccio un riassunto. L’ennesima morte stradale di una giovane donna, schiacciata in bici da un’automobilista con il mezzo fuori controllo (pare) ha scatenato la reazione degli attivisti, fino a portare all’idea di una nuova manifestazione nazionale di chi si sposta in bici o vorrebbe farlo senza paura, si spera molto partecipata come o più di quella del 2012 ai Fori Imperiali a Roma, dove il 28 aprile di quell’anno la lunga spianata venne letteralmente occupata dal Colosseo a piazza Venezia da una folla venuta da tutta Italia. Decido quindi di lanciare pubblicamente, subito, senza perdere altro tempo, l’idea nata da un sentire collettivo e anticipare una “Manifestazione contro il fascismo stradale”, questo il titolo del post.

Senza fare link -per miglior lettura-, scrivevo: “Cos’è il fascismo? E’ prevaricazione del forte sul debole. E’ violenza e dittatura. E’ la negazione della convivenza pacifica, affermazione di un migliorismo che necessariamente coinvolge il maschio alfa al potere, è la più bieca manifestazione di potere, è autorità che nega l’autorevolezza. In strada c’è il fascismo dei mezzi di spostamento. E’ già maggioritario, non ha bisogno di elezioni né di referendum né di appelli popolari o raccolta firme”.

Il riferimento è all’ottusa e violenta pervasività, con i danni che necessariamente ne conseguono, dei mezzi privati a motore chiamati automobili, e a tutta la serie di comportamenti antropologici che istigano, minacce incluse pur nel torto più conclamato.

Salta fuori un pandemonio, che in parte mi aspettavo ma non così violento né proveniente da una parte di società che forse avevo valutato diversamente. Insulti a parte -e ci sta, ormai conosciamo tutti le dinamiche dei social- vengo accusato di essere ideologicamente vecchio, di averla “buttata in politica” (invano ripeto che la mia è una visione antropologica), addirittura di non rispettare chi è morto, e male, sotto una macchina. Viene completamente oscurato il merito dell’affermazione e ci si fissa sul termine: fascismo. Come diceva Montanelli, forse non mi sono spiegato bene io. Provo a farlo ma niente, ormai la discussione s’è incastrata sull’ennesimo derby (“e allora i comunisti”). Aggiungo un post scriptum al post, inutile. Pro e contro di stampo politico (quando io nego ogni dignità politica al fascismo), qualche flebile voce prova a ragionare: subissata. Che ci succede?, mi domando; com’è che siamo arrivati a questo livello di astio verso un’opinione, probabilmente tranchante, solo perché ho scritto “fascismo”? Che per me è sinonimo di prevaricazione. A quanto pare invece è ormai una parte dell’offerta politica, quindi intangibile.

Avrei potuto scrivere prevaricazione, violenza, bullismo, aggressione: che per me sono tutti sinonimi di fascismo, ma a quanto pare per un certo numero di altri no. Poi uno dei commentatori ricorda che in Minima moralia Theodor Adorno scriveva quanto segue: “Quale chauffeur non sarebbe indotto, dalla forza stessa del suo motore, a filare a rischio e pericolo delle formiche della strada, passanti, bambini e ciclisti? Nei movimenti che le macchine esigono da coloro che le adoperano c’è già tutta la violenza, la brutalità, la continuità a scatti dei misfatti fascisti”. Non lo sapevo. Era il 1951. Mi sento in ottima compagnia: meglio con Adorno che con i benpensanti da tastiera.

2 pensieri su “Ancora sul fascismo stradale

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