Tra le poche certezze della vita, a parte la sua inevitabile fine o la forza di gravità, ce n’è una tutta made in Italy: la quantità di persone trasportate in media da una singola autovettura. Questo numero è 1,2 e non cambia mai negli anni. Si trova nel Conto nazionale dei Trasporti, redatto ogni anno dal ministero delle Infrastrutture e trasporti fin dalla sua nascita. Senza offendere l’intelligenza di chi legge vorrei ribattere sul punto: ogni singola autovettura circolante in Italia porta dentro di sé una persona e qualcosina.
Spesso faccio un esercizio lievemente autolesionista perché mi fa svanire l’allegria endorfinica della pedalata. Quando mi fermo al semaforo mi metto a contare le persone dentro le automobili nel loro turno di passaggio. Sono favorito dal fatto che arrivo sempre in testa al semaforo, chi è in fila dietro non può accorgersene: il ritmo del conteggio è più o meno “uno, uno, due, uno, uno, uno, due, uno, due, due, uno, uno, uno, due” e così via. Provateci, qualunque sia la vostra città. Sono rare le auto private con tre persone dentro, praticamente inesistenti quelle a pieno carico. La statistica del Mit ha la sua evidenza in strada e può essere constatato da chiunque.
Sempre secondo il documento l’ultimo censimento del parco circolante è di 53.539.766 unità, tutto compreso (dal Tir all’auto privata, e compreso i mezzi pubblici di superficie ma non i tram); nel dettaglio, le auto private sono 38.520.321. Una valanga di lamiera. Ma il dato più sconcertante, seminascosto forse per vergogna, è il numero di veicoli circolanti per abitante, ciclomotori stavolta esclusi: 0,84 nel 2017. Nel 1990 era 0,58. E, a proposito di incentivi auto, da notare che l’incredibile dato della Valle d’Aosta (1,88 veicoli a testa) è “fortemente influenzato dal differente e più favorevole regime fiscale concernente le immatricolazioni di autoveicoli”. Il secondo posto in questa oscena classifica spetta alle province autonome di Trento e Bolzano (1,27 veicoli per abitante), sempre per lo stesso motivo.
Praticamente in Italia c’è un veicolo a testa, con una crescita impressionante in 27 anni: siamo in totale controtendenza -ormai definibile strutturale- con il resto del mondo tranne gli Usa.
Salto di palo in frasca ma mica tanto: mi è capitato di seguire una diretta web su “Città del futuro e mobilità elettrica”: protagonisti l’ad di Volkswagen Italia (ricordate il Dieselgate?), quello di Enel X e un architetto urbanista che insegna al Mit di Boston. Neanche vi sto a raccontare i toni entusiastici, da svolta epocale, usati per illustrare alla platea il prossimo futuro della mobilità urbana secondo loro.
Eppure è semplice scoprire l’inganno. Ipotizziamo di sostituire l’intero parco circolante italiano con analoghi mezzi non dico elettrici, ma persino ad acqua di fogna e che dallo scarico emettano Brunello: il risultato è comunque 0,84 mezzi a persona (ciclomotori esclusi), per una persona e qualcosicchia trasportata. Naturalmente se uno di questi mezzi del futuro mi passa sopra non ne esco indenne, né tantomeno ubriaco di Brunello, ma questo per i nostri rivoluzionari dell’automotive non c’entra col discorso, per quell’argomento usano di solito l’altro feticcio del (loro) futuro, l’auto a guida autonoma; hanno una risposta per tutto.
Nota a margine: il parco motorizzato italiano, sempre secondo i conti, staziona per il 95% del suo tempo, da immatricolazione a rottamazione.
Sintesi: abbiamo riempito le nostre città di automezzi che portano una persona a testa, parcheggiati per la quasi totalità del tempo. Nessuna nuova motorizzazione risolverà questo problema. L’unica soluzione, se mai volessimo davvero cercarla è il vuoto a rendere e a mai più ricomprare.