Diversi segnali colti dagli attivisti della mobilità innocua stanno in questi giorni dimostrando che il settore legato all’automobile sta sotterraneamente andando all’attacco di chi attenta alla sua sovranità. Metto in fila un po’ di fatti apparentemente scollegati ma che ai più attenti (la temibile lobby dei ciclisti italiani, subdoli personaggi che in clandestinità stanno picconando le basi della convivenza automobilistica) stanno prefigurando un disegno di stile revanchista.
Il fatto più eclatante è di questi giorni: la lobby si accorge che nelle frattaglie della manovra si annida un comma, il 103 dell’art.1, che autorizza la circolazione di auto elettriche e ibride nelle aree pedonali e nelle ztl. Una furbata in stile I, II e a quanto pare anche III Repubblica.
Il cavillo, stranamente, è di una senatrice bergamasca di Forza Italia: ma i berlusconiani non sono in maggioranza e i ciclolobbisti non comprendono come sia potuto passare; tuttavia è legge. La reazione immediata è approdata sui giornali e continua a girare per i social. A quel punto il sottosegretario ai Trasporti, Dell’Orco, promette una marcia indietro di cui ancora non c’è traccia. Anzi sì, ma la pezza è peggiore del buco: un altro cavillo tortuosissimo, ancora da presentare ma di cui dispongo, elimina solo le ibride dalla legge ormai approvata, e dalle Ztl; non si capisce cosa si faccia per le aree pedonali. Nel casino sollevato si sono sentite cose incredibili: il M5S ha dichiarato la sua sorpresa e nessuna paternità della norma; una volta portata allo scoperto l’autrice, questa ha dichiarato che il suo commino non prevedeva le aree pedonali, e non sa chi l’abbia inserito, mistero.
Comunque: l’apertura oggi vigente assomiglia molto al pollaio lasciato aperto per non infastidire le volpi, e fa supporre un favore all’industria automobilistica, che sta sterzando sull’elettrico.
Primo segnale revanchista.
Il secondo riguarda una proposta di legge presentata in sordina a giugno scorso ma ora calendarizzata nella discussione sulle modifiche al Codice della Strada e quindi emersa alla visibilità solo di recente: è la numero 777 (dev’essere il numero del superdiavolo, immagino) ed è firmata da un pattuglione di 45 deputati leghisti: prevede il sogno di ogni nemico della bici, ovvero il casco obbligatorio. La misura perfetta per ammazzare ogni crescita anche timida dell’uso della bici, e infatti quasi nessun paese del mondo ha questo obbligo (in Europa c’è solo lo stato pirata Malta, che però sta pensando di annullarlo). A favore di questa misura sono solo l’Ancma di Confindustria, che annovera i produttori di caschetti, e la Federciclismo, che pensa solo ai corridori e non all’utenza normale. E naturalmente il superdemonio Automotive.
Il terzo è sempre di marca Lega, e infatti è quel simbolo machista e ormai vetusto che è la velocità: l’innalzamento a 150 km/h del limite in autostrada.
C’è da segnalare anche uno strano intervento della Stampa di Torino sul primo provvedimento: il giornale, notoriamente affezionato alle auto, in un articolo che per metà è commento definisce la protesta “apparentemente paradossale”. Sintetizzo il pensiero lasciato balenare -e poi non sviluppato-: “ma come, voi che volete la mobilità sostenibile protestate adesso che ve la favoriscono?”.
Ecco un punto da chiarire: l’auto elettrica NON è mobilità sostenibile e innocua. Il fatto che venga fatta passare per tale è un inganno dell’industria. Il mezzo, vero, non emette fumi localmente: ma lo fa indirettamente altrove; e in ogni caso occupa spazio e in caso di scontro uccide tanto quella a motore endotermico: non cambia insomma quasi nulla. Se non l’aver trovato un nuovo pericoloso giocattolo da vendere.