Candidarsi è una macchia?

E mi scuso per il cognome Bonino, ma che ne sapevo allora.

Nel 2010 accettai l’offerta dei Verdi di candidarmi alle regionali del marzo di quell’anno. Sapevo benissimo che avrei fatto solo il portatore d’acqua e che non avevo nessuna chance ma accettai lo stesso. Il mio interesse era quello di alzare ancora di più l’asticella del cicloattivismo romano, che già dall’anno precedente, dopo la morte di Eva ai Fori imperiali, aveva fatto un passo in avanti uscendo dalle ciclofficine e dalla critical mass e iniziando a confrontarsi con le varie amministrazioni per negoziare miglioramenti della vita in strada. Volevo, nel 2010, rompere un ulteriore tabù per vedere cosa sarebbe successo e per portare il discorso sull’uso politico della bicicletta in un campo condannato dai più, quello della delega in cui quasi nessuno, me compreso, credeva e crede. Ovviamente non venni eletto (326 preferenze) però il mio obiettivo l’avevo raggiunto. Un numero sorprendente di compagni quotidiani di strada mi tolse il saluto, qualcuno mi voleva pure menare, in almeno una ciclofficina che prima mi accoglieva a braccia aperte si mostrò ostilità attiva. Ero colpevole di essermi sporcato con un partito, per quanto inconsistente e di fatto innocuo. Però la massima parte del milieu romano ha continuato a mostrarmi affetto e apprezzamento. Il mio percorso per la ciclabilità è proseguito però quel periodo fu davvero pesante, dal punto di vista relazionale.

Oggi Paolo Pinzuti, un altro compagno di lotta molto apprezzato e dunque seguito, ha deciso di fare l’esperienza, e tra l’altro con lo stesso partito, per le europee; e io ho cominciato a preoccuparmi per lui, memore delle mie vicissitudini all’interno della piccola società di cui mi circondavo a quei tempi.

“No, veramente sta andando benissimo”, mi diceva al telefono qualche settimana fa, rassicurandomi che non si stava prendendo a morsi con nessuno. Sarà, mi dicevo in silenzio; magari i tempi sono cambiati e abbiamo un atteggiamento più sereno nei confronti della delega, dello stare a quelle regole del gioco. Forse lui è più bravo di me a far passare certi messaggi, ha un aspetto molto meno sciatto del mio, è in definitiva più ragionevole; pur mantenendo una linea di fondo chiarissima e non negoziabile: meno auto in città, più bici e mezzi pubblici. Il messaggio che proponiamo da sempre.

Qualche giorno fa decide di promuovere la sua candidatura sul gruppo di Salvaiciclisti Italia, movimento di cui è stato primo iniziatore chiamando a raccolta tutti noi blogger di allora (2012), gruppo da cui poi è stata fatta esplodere la “grana ciclisti urbani” su tutti i media, fino alla manifestazione dell’aprile 2012, quando portammo a Roma 50.000 persone. Mai successo prima.
Il suo post fa scatenare le polemiche che mi sarei aspettato e che fino ad allora non c’erano state. Una consistente minoranza ha sciorinato la solita serie di accuse: “ti stai facendo gli affaracci tuoi, cerchi la poltrona, stai sfruttando un movimento apartitico, vuoi capitalizzare la simpatia e il consenso che ti circondano”.

Insomma: puoi essere apprezzato, sputare sangue, perdere soldi e salute, puoi regalare la parte più infiammata della tua passione per un tema che credi giusto e per cui sia necessario lottare. Ma se ti presenti a elezioni diventi immediatamente uno stronzo per almeno una parte di chi fino all’istante prima ti stimava esemplare. Candidarsi diventa una macchia in alcuni casi indelebile nel tuo percorso. Atteggiamenti che come vediamo fanno la fortuna del populismo, in realtà più democristiano di Forlani.

Ps: “candidato” deriva dall’antica usanza romana di indossare una tunica bianca nel caso si aspirasse a qualche carica pubblica.

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