La lezione sprecata del Covid

In linea di massima il mantra dei giorni dello spavento, “nulla sarà più come prima”, era in realtà “aspettiamo che passi la bufera e ricominciamo da dove abbiamo interrotto”. Una versione nazionale del detto siciliano “calati juncu ca passa ‘a china”, piegati giunco quando passa la piena. Abbiamo di fatto ripreso la stessa identica vita di prima del Covid, e i tre mesi di clausura vissuti da tutti, e scambiati per responsabilità sociale e prova di maturità sbalorditiva per la società italiana, erano in realtà ben vigilati dalla paura personale per la propria singola esistenza, senza nessun afflato collettivo.

Basta guardarsi intorno per vedere che quanto affermo sopra non sia una mia fantasia: traffico da ore di punta nei luoghi consueti e nelle ore consuete, una minore densità di automobili in giro ma solo per la prosecuzione del lavoro da casa, identiche abitudini stradali peggiorate dalla minore densità, che si traduce in accelerazioni maggiori.
E non è solo il traffico: per “far ripartire l’Italia” si cantierizza nuova asfaltocementificazione: 130 le opere del decreto Salvo Intese -ancora non scritto ma illustrato-, in massima parte autostradali, ponti, dighe, e finalmente ferrovie ma attenzione: la prima delle svariate linee previste dal governo è questa specie di Nosferatu che è diventato il Tav Torino-Lione, e che si avvia a prendere il posto del Ponte di Messina e del Mose nelle opere più cretine, costose e dannose che si sia riusciti a escogitare. Sembra quasi che la nuova guerra mondiale sia stata presa sul serio come quelle classiche: dopo distruzioni e bombardamenti al via con calce e mattone, andiam, andiam andiamo a lavorar.

Non abbiamo evidentemente capito un piffero dalla lezione di questa glaciazione sociale che nessuno si sarebbe mai aspettata, e dalle conseguenti paure collettive. Per esorcizzare queste abbiamo usato il solito meccanismo da scimmie: la fuga dalla realtà, la rimozione.
Pensate, per tornare agli argomenti a due ruote, al famoso bonus bici: ancora non si è capito, e sono passati due mesi, come diavolo fare a sfruttarlo. So che è la consueta malevolenza dei dirigenti del ministero infrastrutture nei confronti delle bici a far girare in tondo quell’incentivo, ma questo è un dettaglio. Più importante mi sembra notare un’assenza: dove sono finite quelle persone che per settimane hanno fatto la fila davanti ai negozi di bici per acquistarle? Voi le avete viste in giro? Con i Decathlon cittadini svuotati -visto con gli occhi, sembravano scene da negozi dell’Unione sovietica-, dove diavolo sono finite quelle centinaia di migliaia di biciclette? Appare sempre più probabile che l’acquisto sia stato compulsivo, utilizzando il solito meccanismo del desiderio da soddisfare immediatamente per placare l’animo, meccanismo su cui si basa il consumerismo e che non abbiamo ancora imparato a controllare, ritorno alla panificazione o no. Non c’è stato l’effetto decrescita consapevole, c’è stata solo isteria controllata e attesa che passasse la piena.

Qui da noi alcune benemerite, e metto in prima linea Elly Schlein e Rossella Muroni ma ci sono anche sparuti maschietti, si interrogano su come intercettare e far sbocciare l’ondata verde che sta cambiando la faccia politica d’Europa: ma sorelle mie, con quale materiale umano vorreste parlare? Certo, i giovani e non di Greta e del Fff, la sardinità eccetera. Spero che ci riusciate. C’è da aggredire anzitutto un immaginario, dove voracità è assunta a valore, che sembra non essere stato minimamente intaccato dalla Grande Paura. Neanche se questa dovesse tornare.

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