Chiunque si sta domandando che tipo di governo sia quello nuovo, e dove ci porterà nelle condizioni assurde date: abdicazione della politica tradizionale, presenza di una pandemia che non molla, inedito intervento antiausterità dell’Unione europea, chiaro indirizzo in chiave “ambientalista”, qualsiasi cosa questo significhi.
È proprio sull’ambiguità ambientalista che vorrei ragionare. Che io abbia capito, nel corso degli ultimi anni l’argomento viene rivestito con ogni tipo di ricetta e direzione, dall’ascesi dei sadu indiani che si nutrono d’aria all’iperfetazione tecnologica in chiave energetica rivoluzionaria o quantomeno inedita.
Credo che sia chiaro che Super Mario non sia uno degli Avengers e che abbia messo insieme una squadra bipolare: la sostanza in mano ai suoi -cd. tecnici-, la necessità di consenso in Parlamento lasciando posti ministeriali tendenzialmente innocui o di secondo piano alle varie componenti della maggioranza, evidentemente fatta di nemici che si guardano in cagnesco in attesa di potersi sbranare as usual quando e non appena si potrà (e già accade).
Su almeno una cosa credo di aver raggiunto una ragionevole stabilità di opinione: la figura del nuovo ministro dell’Ambiente, Roberto Cingolani, che dovrebbe guidare la Transizione ecologia e quindi mettere insieme pezzi di ministeri oltre all’Ambiente, come per esempio Sviluppo economico, Agricoltura e chissà cos’altro.
Su Cingolani a mio parere si è creato un ingorgo di equivoci. Laddove tutti pensano che sia la figura chiave per guidare la famosa transizione, in realtà è stato individuato come persona in grado di affrontare una missione diversa: e ovvero la riorganizzazione della macchina ministeriale per costruire questo famoso ministero voluto da Grillo (un po’ una supercazzola, non ci crede neanche lui). Insomma un compito da meccanico, non da profeta o guru di Gea. Cingolani, fisico specializzato in nanotecnologie, è emerso come formidabile organizzatore: lo dicono le cronache, me lo confermano chiacchiere fatte in giro qui e lì in questi giorni, è il dato che salta più all’occhio. Non sarebbe stato chiamato a gestire il reparto innovazione di Leonardo, azienda di altissima tecnologia militare, se non fosse così ed è un’ulteriore indizio sulla scelta dell’uomo, che chiaramente ha competenze stellari in tutto quanto sopra. La sua missione insomma è approntare la sede per gestire al meglio, e meccanicamente, la valanga di quattrini del Recovery Fund per le azioni etichettabili come “verdi”.
Ed è qui che vedo il pericolo: sicuramente il meccanismo funzionerà. Ma con quale anima? Non parlo di anima leggermente. Davvero l’obiettivo finale di una rivoluzione “verde” è ancora più tecnologia? Sappiamo che Cingolani, nato e cresciuto nel mondo produttivista, è affascinato dalle interazioni uomo-macchine. Siamo certi che all’Unione europea siano coscienti che la transizione verso una progressiva leggerezza dell’impronta umana sul pianeta possa (debba) prevedere il meno invece del più? O sia invece proprio questo il bug di sistema: gli attuali leader della nostra zona di mondo spingono sull’accelerazione tecnologica per risolvere i danni della tecnologia precedente? A giudicare dalle scelte di Draghi (oltre a Cingolani c’è anche Colao) sembrerebbe così. Spero davvero di aver preso una cantonata. Come tutti, sono al buio sulle intenzioni del nuovo capo del governo ma sono pronto a scommettere che l’alba della transizione la vedremo chissà quando. E forse mai.