In questa prima tornata amministrativa molte cose hanno sorpreso, anzitutto le percentuali incredibili che hanno portato già al primo turno alla riconferma di Sala a Milano e all’elezione-lampo di Lepore a Bologna e Manfredi a Napoli. Però mi interessa focalizzare l’attenzione su due microfenomeni accaduti: l’elezione nei rispettivi consigli di Simona Larghetti a Bologna e di Marco Mazzei a Milano. Nomi che dicono poco a chi non è del giro cicloattivismo ma che sono da anni alla ricerca continua della realizzazione del nostro ormai quasi ventennale messaggio: bisogna cambiare il modo di stare in strada, ne va della vita di chiunque.
Simona in particolare è stata l’ottava più votata tra i circa 600 candidati bolognesi, la sua lista è Coalizione Civica, per Lepore; nel centrosinistra, come si usa chiamarlo, è stata la quinta più votata. E’ sulla breccia già all’indomani della manifestazione Salvaiciclisti del 28 aprile 2012 a Roma: ha incrociato il movimento solo qualche mese dopo e la sua direzione le è apparsa immediatamente chiara, tanto da contribuire a fondare la prima delle associazioni legate al movimento, di cui è stata presidentella, a spingere per la Consulta della bicicletta bolognese, che ha presieduto, e contribuire costruire la velostazione Dynamo, che ha guidato fino a un paio di mesi fa. Si è candidata, ha ottenuto 1015 preferenze.
Marco insiste sul punto a Milano dall’inizio delle prime critical mass, ha creato la Massa Marmocchi che accompagna in gruppo i bimbi a scuola, è un ostinato quanto gentile e a mio parere moderato istigatore di ciclabilità. Non passò per un soffio (956 voti) nel Sala 1, ora sì (1028 voti). Viene visto come un ciclotalebano dai detrattori, quelli che per esempio hanno inscenato la buffonata delle martellate alla ciclabile di Buenos Aires: ma non sapevano che stavano piantando chiodi sulle loro bare politiche. E non certo a causa di Mazzei ma -ed è questo il punto che voglio raggiungere- a causa di una lotta che ora appare a chiunque antistorica.
Perché appare evidente che l’affermazione dei progressisti, e li scuso di essere timidi, rende evidente anche in Italia quanto la ciclabilità sia una necessità di futuro, e la veicolarità automobilistica un retaggio del passato che per ora non sa di essere morto e sepolto. La bici è progresso.
E Roma, dove vivo?
Qui, come altrove, bisogna sì aspettare i ballottaggi, ma l’efferatezza della “caccia a Raggi” ha portato a una certa timidezza, per non dire fastidio, dei cosiddetti big sulla “città per le bici”. Gualtieri e Calenda si sono distinti per veicolare i classici messaggi della destra che si mette la cravatta: “la ciclabilità è importante ma non fatta così” è stato il topolino partorito, stop. La destra che invece ha le svastiche tatuate o sulla pelle o nel cervello è stata più chiara: “le smantelliamo”, e viva il ruttino. Malgrado il generoso tentativo di un piccolissimo manipolo di attivisti candidati, nessuno di questi è stato eletto. Li ringrazio per il beau geste ma erano lontani dalla consapevolezza e dalla reattività sia degli elettori di Bologna e Milano, sia dalla costante presenza e sempre più concreta dei due neoconsiglieri citati sopra. Qui, sotto la linea gotica, il Pd romano sconta continuamente un’ambiguità sul tema dovuto alla presenza di Raggi in questi 5 anni. “Se lei fa una cosa, è il male”, pensano e sloganizzano. Eppure il tonfo annunciato della sindaca M5S è stato meno duro del previsto: chissà, magari qualcosa di buono può aver lasciato. Magari Gualtieri può capirlo ora.