Matteo Zuppi, un “anarcociclista” a capo dei vescovi italiani

Tempo fa, nel 2019 -quindi in era preCovid quando la logica sociale non era ancora andata in vacanza- mi capitò di scrivere su questo spazio una cosa per me inusuale, cioé una specie di applauso a un pretone, un cardinale, che reggeva la diocesi di Bologna: Matteo Zuppi, che definii “anarcomonsignore” perché fotografato mentre percorreva in bici e in senso inverso una vietta di Bologna. Quello cioé che i motorizzati chiamano “contromano” e noi demotorizzati chiamiamo “senso unico tranne bici”, che sia autorizzato o no.
Ora Zuppi è il capo dei vescovi italiani e siccome sono affezionato a questa figura umana sono andato a trovarlo nel baretto dopo ogni tanto passa a rilassarsi a due passi dalla sua ex parrocchia trasteverina e dalla sede della comunità di S.Egidio, la “diplomazia parallela” del Vaticano. Il bar è il S.Calisto, a Roma un’istituzione popolare da decenni e una specie di succursale di S.Egidio quanto a diplomazia: è l’unico bar romano dove ci sono i simboli sia della Roma sia della Lazio, nessuno fa una piega e il cazzeggio calcistico resta sempre nei limiti del rispetto. Trovi ai tavolini fuori appunto monsignori e gente di margine, i prezzi -bassi- sono identici al bancone e al tavolino, se hai pazienza hai anche il servizio al tavolo senza sovrapprezzo, e in uno dei luoghi più spennaturisti di Roma.

A Trastevere ci lavoro e in pausa pranzo vedo se trovo l’arciprete biciclettaro. C’è, saluto, mi siedo e vado al punto. “Ti volevo dire di questa cosa dell’anarcociclista, non è che te la sei presa?”.

“Ma no, me l’hanno detto a Bologna e sai che c’è? Ho capito la tua disperazione”. Come disperazione… “Sì, vedi io capisco che tu e quelli che si spostano in bici non sapete più che fare per mostrare la semplicità della bici, il suo essere mezzo innocuo in mezzo a questo casino”, indica la piazzetta, formalmente pedonale ma come sempre accade a Roma la misura dell’Eternità è data dall’”attimino” del parcheggio di qualsiasi quattroruote, ovunque. “E che -continua Zuppi- per esempio non si capisce che in mezzo a questo caos un’opportunità in più di tornare vivi a casa è quella di usare la vista frontale di cui ci ha dotato il Signore”, qui qualche agitazione da parte mia che non sono creazionista, ma d’altronde Matteo sta gustando una granita e io accumulo birrette che lui rifiuta, stili diversi insomma. “Non sai quante volte mi sono raccomandato l’anima intorno al Vaticano. Bisogna avere pazienza, e costanza nella divulgazione”.

Non mi azzardo a chiedergli un’omelia perché “da tanto non faccio il parroco”, però magari un’indicazione alle diocesi sparse per l’Italia, visto che ora fa il capo dei vescovi… “Ci posso provare, ma capirai: anche i miei pensano che l’auto elettrica sia mobilità ecologica, non riesco a fargli capire che proprio il mezzo in sé, qualsiasi sia la motorizzazione, è un atto di egoismo nei confronti della società, ruba tempo e spazio a tutti per non parlare dello spreco di risorse e denaro, se ti mette sotto di certo le conseguenze non cambiano, insomma un disastro: ma ci posso provare, se dico a te ‘pazienza e costanza’ io per primo le devo mettere in atto”.

Naturalmente questo dialogo è immaginario, e la parte sulla disperazione l’ho presa dal mio sentire. Ma sono piuttosto certo che Matteo Zuppi, a sollecitarlo su questi argomenti, direbbe esattamente quello che ho disperatamente immaginato.

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