La massima confuciana secondo cui chi conosce quale sia il bene e non fa nulla per raggiungerlo è un vile descrive perfettamente le élites contemporanee. Vediamo tutti cosa sta accadendo all’ambiente in cui siamo immersi e di cui siamo parte. Parte attiva ma avida e rapace, senz’altro, ma anche capace di riflessione sui propri errori. Il punto è che questa riflessione è automaticamente diretta verso un risultato che ci fornisca una -presunta- comodità nell’esistenza, qualunque siano le conseguenze della nostra scelta.
In questo senso c’è una connessione tra chi ha in mano i destini dell’umanità, le élites, e l’umanità stessa: il rifiuto della sobrietà, l’unica arma seria che abbiamo per correggere le violenze che ci hanno portato al cambiamento climatico in atto e che personalmente mi preoccupa molto di più di guerre, pandemie e nel recente caso italiano isterie politiche che tratteggiano una classe dirigente inetta e incapace di imprimere una sterzata al nostro modo di stare al mondo.
Un dato che hanno evidenziato le ragazze e i ragazzi dei Fridays for Future riuniti a Torino nei giorni scorsi: “la politica forse sta scegliendo di non ascoltarci: qui non è presente nessun rappresentante di partito. Le assemblee plenarie sono aperte al pubblico, vengono ad ascoltarci studenti, giornalisti, professori. Politici non ne abbiamo visti”, dice una di loro alla giornalista ambientale Francesca Santolini che è andata ad ascoltarli.
In questi giorni di raffazzonata campagna elettorale ho tentato invano di scovare una presa di coscienza ambientalista sostanziale nelle varie figure che si arrogano il diritto di calcare la scena pubblica, passando dalla buffonata del milione di alberi promessi da Berlusconi all’enunciazione della parola “ambiente”, da mettere al centro delle future politiche ma senza azzardarsi a dire come, di Letta. La destra nera invece continua coerentemente nel contrastare il green deal, “da buttare a mare” in nome di Suv e condizionatori e insomma dei soliti beati fattacci nostri: e viva la chiarezza. C’è un dato comune a tutti coloro che in questi giorni stanno sgomitando per avere o riavere il potere: la crescita economica vista come imprescindibile per darci un futuro. So quindi per certo, come i FFF, che andremo a sbattere lungo la stessa pista da bob che ci ha incanalato verso il disastro. Nel frattempo una radiosonda svizzera, il 25 luglio, ha rilevato lo zero termico sulle Alpi a 5184 metri sul livello del mare, quando la media climatologica lo vorrebbe a 3500 msl nei mesi estivi.
Il rifiuto della sobrietà è tutto intorno a noi, e chi -come me attraverso la bandiera bicicletta- si impegna da anni a dimostrare che una presunta scomodità apre orizzonti di incredibile piacevolezza e facilità di esistenza non può che mettere a bilancio la propria estraneità alla corrente maggioritaria dell’umanità, che esulta per calciatori e si scanna per uno smartphone.
Né serve una guida come il Mahatma Gandhi, che portò l’India all’autodeterminazione con gesti simbolico-concreti come filare il cotone al proprio arcolaio o alzare al cielo un pugno di sale autoprodotto: anche gli indiani, ottenuta la libertà da Londra, hanno accantonato quel maestro di vita e seguito la strada della bulimia economica.
In Italia se ti azzardi a dire che non devi usare mai un condizionatore, o che cambiare abitudini alimentari può servire (e non parliamo della bicicletta) ti impalerebbero volentieri. E’ qui la connessione tra élites e base: continuiamo diversamente da prima ma come prima.
Non si vede come gente che ha già oggi un diverso paradigma possa, banalmente, andare a votare.
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