Le elezioni viste dal sellino della bici

Un punto fondamentale, che bisogna interiorizzare profondamente, è che non può esistere un partito progressista che non ascolti e anzi a volte ostacoli le istanze progressiste scoperte o intuite e praticate dalla società che vuole progredire. Il Pd non è un partito progressista, è un partito conservatore con operazioni cosmetiche di etica progressista che l’autoassolve dall’essere industrialista, centro di conservazione del potere, fautore della crescita del pil, fiancheggiatore di chi detiene il potere economico (da Confindustria in giù).

Eppure alle élites politiche di ogni genere e in particolare a quelle che si intestano la dicitura progressista lo diciamo da anni. Se vogliamo almeno dal 2001, per me uno spartiacque: Genova soffocata nel sangue è l’atto di divorzio tra élites politiche e popolo progressista. Ma possiamo risalire anche al 1999 (Seattle). E volendo trovare radici più lontane, le fulminanti intuizioni di Henry David Thoreau, precedenti a quelle di Ivan Illich; e ancora più indietro, secondo quanto sostengono Graeber e Wengrow in “L’alba di tutto”, addirittura ai nativi americani che, entrati in contatto con i francesi occupanti, ne criticarono alla radice l’appartenenza a una società -quella europea dell’epoca- intrinsecamente sbagliata: cosa che secondo gli autori portò Rousseau a gettare le basi della Rivoluzione francese.

Diciamo quindi che i segnali e gli esempi possono affondare nei secoli e se proprio non ci va di riconoscerlo almeno dal 2001.

Non solo la sciagurata emersione di figure assurde come le cd “madamine Sì Tav” a Torino, in larga parte elettrici dem, dimostrano la sordità dei cosiddetti progressisti ad accogliere dinamiche di nuovo conio come il rifiuto della devastazione del territorio per la moltiplicazione di utili monetari grazie a progetti evidentemente inutili e dannosi: anche ricordare lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, iniziati da Treu negli anni ’90 e portati a termine da Renzi con il Jobs Act serve a far capire perché i progressisti reali non hanno un’area politica di riferimento. Voglio sottolineare che lo smantellamento dei diritti dei lavoratori è la causa prima dell’esistenza dei rider: Sebastian Galassi, ucciso da un automobilista, è la conseguenza diretta dell’aver abbandonato i giovani alla rapacità neoliberista.

Nel mio campo di attività (proporre un modo diverso di spostarsi) vedo bene questa sordità negli esponenti Pd. La costante è o rubricare “la bicicletta” a questione sì emergente ma marginale, o trattarla da giocattolo o persino irridere la questione. La seconda di queste attitudini è la cifra, per esempio, dell’attuale giunta romana guidata da Gualtieri, con una certa propensione verso l’irrisione se adeguatamente molestata dagli attivisti.

Con una quieta rassegnazione sono andato a votare, l’alleanza tra Si e Verdi: 3,6%, mentre il mio stupido ottimismo mi faceva pronosticare il 6%. Dovrebbe essere a doppia cifra come nel resto d’Europa, ma appunto anche se l’offerta era chiara il consenso non arriva, perché come spiegano bene i giovani di Fff non si ha fiducia nel reale accoglimento dell’urgenza di affrontare un futuro opposto all’economia di rapina che i cosiddetti progressisti hanno sposato. In sintesi: cosa fare non lo so ma la società che pratica e predica il progresso ancora non ha un riferimento politico organizzato, ed è evidente l’urgenza di crearlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Le elezioni viste dal sellino della bici

Un punto fondamentale, che bisogna interiorizzare profondamente, è che non può esistere un partito progressista che non ascolti e anzi a volte ostacoli le istanze progressiste scoperte o intuite e praticate dalla società che vuole progredire. Il Pd non è un partito progressista, è un partito conservatore con operazioni cosmetiche di etica progressista che l’autoassolve dall’essere industrialista, centro di conservazione del potere, fautore della crescita del pil, fiancheggiatore di chi detiene il potere economico (da Confindustria in giù).

Eppure alle élites politiche di ogni genere e in particolare a quelle che si intestano la dicitura progressista lo diciamo da anni. Se vogliamo almeno dal 2001, per me uno spartiacque: Genova soffocata nel sangue è l’atto di divorzio tra élites politiche e popolo progressista. Ma possiamo risalire anche al 1999 (Seattle). E volendo trovare radici più lontane, le fulminanti intuizioni di Henry David Thoreau, precedenti a quelle di Ivan Illich; e ancora più indietro, secondo quanto sostengono Graeber e Wengrow in “L’alba di tutto”, addirittura ai nativi americani che, entrati in contatto con i francesi occupanti, ne criticarono alla radice l’appartenenza a una società -quella europea dell’epoca- intrinsecamente sbagliata: cosa che secondo gli autori portò Rousseau a gettare le basi della Rivoluzione francese.

Diciamo quindi che i segnali e gli esempi possono affondare nei secoli e se proprio non ci va di riconoscerlo almeno dal 2001.

Non solo la sciagurata emersione di figure assurde come le cd “madamine Sì Tav” a Torino, in larga parte elettrici dem, dimostrano la sordità dei cosiddetti progressisti ad accogliere dinamiche di nuovo conio come il rifiuto della devastazione del territorio per la moltiplicazione di utili monetari grazie a progetti evidentemente inutili e dannosi: anche ricordare lo smantellamento dei diritti dei lavoratori, iniziati da Treu negli anni ’90 e portati a termine da Renzi con il Jobs Act serve a far capire perché i progressisti reali non hanno un’area politica di riferimento. Voglio sottolineare che lo smantellamento dei diritti dei lavoratori è la causa prima dell’esistenza dei rider: Sebastian Galassi, ucciso da un automobilista, è la conseguenza diretta dell’aver abbandonato i giovani alla rapacità neoliberista.

Nel mio campo di attività (proporre un modo diverso di spostarsi) vedo bene questa sordità negli esponenti Pd. La costante è o rubricare “la bicicletta” a questione sì emergente ma marginale, o trattarla da giocattolo o persino irridere la questione. La seconda di queste attitudini è la cifra, per esempio, dell’attuale giunta romana guidata da Gualtieri, con una certa propensione verso l’irrisione se adeguatamente molestata dagli attivisti.

Con una quieta rassegnazione sono andato a votare, l’alleanza tra Si e Verdi: 3,6%, mentre il mio stupido ottimismo mi faceva pronosticare il 6%. Dovrebbe essere a doppia cifra come nel resto d’Europa, ma appunto anche se l’offerta era chiara il consenso non arriva, perché come spiegano bene i giovani di Fff non si ha fiducia nel reale accoglimento dell’urgenza di affrontare un futuro opposto all’economia di rapina che i cosiddetti progressisti hanno sposato. In sintesi: cosa fare non lo so ma la società che pratica e predica il progresso ancora non ha un riferimento politico organizzato, ed è evidente l’urgenza di crearlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.