Mattatoio Roma chiama Italia

La cucina tradizionale romanesca è chiamata “del quinto quarto”: gli operai del mattatoio, a lungo la principale industria della Roma ancora agreste nell’800, venivano pagati con gli scarti delle bestie macellate. Da tempo il mattatoio non c’è più, è rimasto il suo lascito culinario ma la mattanza, con la motorizzazione, si è trasferita nelle strade. Avete saputo tutti della morte del giovanissimo Francesco, ucciso da un’automobilista che gli è piombata sopra mentre era sul marciapiede. In questo periodo a Roma c’è stato un morto al giorno in strada, e ciascuno nel suo intimo si interroga su “quando”, non “se, toccherà a me”. E’ una situazione che tentiamo di nasconderci, soprattutto noi in bici per l’ampio raggio che il mezzo ci consente e quindi l’esposizione a luoghi che declinano diversamente un’ostilità urbana sempre presente. Ma non illudetevi, la situazione della Capitale riflette in pieno il genius loci italico: nello Stivale nessuno può dirsi al sicuro, persino sul marciapiede. A Milano da lunghi anni parcheggiare automobili su ogni marciapiede è un’incontrastata consuetudine di massa, nella convinzione che sia giusto.

Gli italiani -tra poco torno al caso romano- sono immersi nell’acqua dell’automobile e come i pesci probabilmente non riescono a percepirla. Basti solo considerare le pubblicità: negli ultimi anni due case produttrici hanno girato spot a Venezia, e una addirittura dentro gli Uffizi. Alberto Sordi sosteneva che al centro di Roma bisognava andarci con le pantofole: figurarsi.

Nel caso di Francesco l’assurdità del morire su un marciapiede è subito stata immersa nella classica trafila: la sua assassina era ubriaca, ed ecco spiegato il mostro. “Posso continuare a guidare sereno e strafottente, lei era diversa da me”.. Neanche un po’: limiti sforati sempre e ovunque, poco importa se su basolato o autostrada urbana; la convinzione che la mia vettura può tutto, entrare ovunque, fermarsi a piacere, essere presente come inevitabilità condivisa dunque autorizzata. Non esiste automobilista che non contesti la multa, a volte anche dal vivo con gestualità accentuata. Non si contano le liti con chi non ammette critiche al suo comportamento criminale, ma non si può passare la giornata a fare a botte ogni cento metri e quindi via, continuare. Lo sguardo da rettile da dietro i vetri di chi ti incrocia per strada con la tua bici, come ti permetti di esistere e intralciarmi. Un continuo. La consuetudine, quarta fonte normativa nel nostro ordinamento, è un comportamento collettivo fondato sulla convinzione di essere nel giusto (è il caso per esempio del patronimico, ora finalmente affossato dalla Consulta).

A Roma abbiamo sforato gli 80 morti in strada da inizio anno, ho perso il conto. Dopo Francesco ne sono morti almeno altri tre, uno di questi motociclista esperto (meccanico di Motomondiale) contro un albero. Ma la narrazione poi segue la sua solita strada, la colpa è all’esterno: la strada assassina, l’albero killer. Lercio è intervenuto: “psichiatra apre studio per curarli”.
Quando tu vedi, e succede quotidianamente, un’auto ribaltata e variamente frantumata sulla corsia opposta “cause da accertare” un cazzo: tu sei, o eri, ad alta velocità, ubriaco o no. Dunque un criminale.

Voglio qui ricordare Giacomo, morto sotto un tram a Milano, a 12 anni e in bici, per evitare un’auto che non doveva stare dov’era. Ma già dimenticato, e via libera perenne alle auto in città, sciolte da ogni dovere, senza contrasto. D’altronde chi ha la patente vota. A Roma ci sono più auto che patenti. Il conto è facile.

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Mattatoio Roma chiama Italia

La cucina tradizionale romanesca è chiamata “del quinto quarto”: gli operai del mattatoio, a lungo la principale industria della Roma ancora agreste nell’800, venivano pagati con gli scarti delle bestie macellate. Da tempo il mattatoio non c’è più, è rimasto il suo lascito culinario ma la mattanza, con la motorizzazione, si è trasferita nelle strade. Avete saputo tutti della morte del giovanissimo Francesco, ucciso da un’automobilista che gli è piombata sopra mentre era sul marciapiede. In questo periodo a Roma c’è stato un morto al giorno in strada, e ciascuno nel suo intimo si interroga su “quando”, non “se, toccherà a me”. E’ una situazione che tentiamo di nasconderci, soprattutto noi in bici per l’ampio raggio che il mezzo ci consente e quindi l’esposizione a luoghi che declinano diversamente un’ostilità urbana sempre presente. Ma non illudetevi, la situazione della Capitale riflette in pieno il genius loci italico: nello Stivale nessuno può dirsi al sicuro, persino sul marciapiede. A Milano da lunghi anni parcheggiare automobili su ogni marciapiede è un’incontrastata consuetudine di massa, nella convinzione che sia giusto.

Gli italiani -tra poco torno al caso romano- sono immersi nell’acqua dell’automobile e come i pesci probabilmente non riescono a percepirla. Basti solo considerare le pubblicità: negli ultimi anni due case produttrici hanno girato spot a Venezia, e una addirittura dentro gli Uffizi. Alberto Sordi sosteneva che al centro di Roma bisognava andarci con le pantofole: figurarsi.

Nel caso di Francesco l’assurdità del morire su un marciapiede è subito stata immersa nella classica trafila: la sua assassina era ubriaca, ed ecco spiegato il mostro. “Posso continuare a guidare sereno e strafottente, lei era diversa da me”.. Neanche un po’: limiti sforati sempre e ovunque, poco importa se su basolato o autostrada urbana; la convinzione che la mia vettura può tutto, entrare ovunque, fermarsi a piacere, essere presente come inevitabilità condivisa dunque autorizzata. Non esiste automobilista che non contesti la multa, a volte anche dal vivo con gestualità accentuata. Non si contano le liti con chi non ammette critiche al suo comportamento criminale, ma non si può passare la giornata a fare a botte ogni cento metri e quindi via, continuare. Lo sguardo da rettile da dietro i vetri di chi ti incrocia per strada con la tua bici, come ti permetti di esistere e intralciarmi. Un continuo. La consuetudine, quarta fonte normativa nel nostro ordinamento, è un comportamento collettivo fondato sulla convinzione di essere nel giusto (è il caso per esempio del patronimico, ora finalmente affossato dalla Consulta).

A Roma abbiamo sforato gli 80 morti in strada da inizio anno, ho perso il conto. Dopo Francesco ne sono morti almeno altri tre, uno di questi motociclista esperto (meccanico di Motomondiale) contro un albero. Ma la narrazione poi segue la sua solita strada, la colpa è all’esterno: la strada assassina, l’albero killer. Lercio è intervenuto: “psichiatra apre studio per curarli”.
Quando tu vedi, e succede quotidianamente, un’auto ribaltata e variamente frantumata sulla corsia opposta “cause da accertare” un cazzo: tu sei, o eri, ad alta velocità, ubriaco o no. Dunque un criminale.

Voglio qui ricordare Giacomo, morto sotto un tram a Milano, a 12 anni e in bici, per evitare un’auto che non doveva stare dov’era. Ma già dimenticato, e via libera perenne alle auto in città, sciolte da ogni dovere, senza contrasto. D’altronde chi ha la patente vota. A Roma ci sono più auto che patenti. Il conto è facile.

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