Città a 30 km/h e vittime stradali: esiste il “numero accettabile”?

Il caso di Milano a 30 km/h ha sollevato un vespaio in tutta Italia. Poco importa che altre città hanno scelto da anni questo nuovo limite di velocità, ma essendo centri meno grandi ed essendo Milano la New York d’Italia, come qualcuno la definisce un po’ sopra le righe, quello innescato dall’ordine del giorno approvato in consiglio comunale il 9 gennaio scorso è diventato l’ennesima guerra civile nel solco dei paradigmatici Guelfi e Ghibellini.

Il carattere bullistico di chi è contrario non conosce differenze di classe: si va dallo studioso o sedicente tale, comunque acculturato, al somaro da web cui ormai abbiamo fatto il callo. Il carattere assolutista di chi è a favore, categoria a cui mi ascrivo, non sembra però attrarre simpatie tra chi dice vediamo, proviamo, se lo stanno facendo nel resto del mondo con questa e quella documentazione scientifica qualcosa vorrà pur dire. Nessuna sorpresa, è carattere nazionale.

Degli aspetti inquietanti, e delle uscite semi isteriche, della prima ora ne ho già parlato in quell’occasione; mi sono dunque messo alla finestra, con una certa trepidazione da voyeur, in attesa di nuove sorprendenti uscite. Inevitabilmente ciò è accaduto, in vari modi. Il primo è che l’area “amici della mia automobile” sta conumandosi le unghie sugli specchi per dimostrare che i motori endotermici moderni inquinano meno a 70 km/h, pare sia annunciato uno “studio francese” che lo dimostri.

Però c’è un’obiezione più subdola, e dotata di una robusta dose di cinismo, che sta circolando in questi giorni: c’è chi sostiene (tra gli altri Francesco Ramella su Tempi.it, un paladino dell’automotive e sarcastico cantore delle pochezze del fricchettone ciclista come veniamo percepiti tra chi compra le paste la domenica dopo la messa) che se si guarda all’effetto sulla sicurezza stradale di Milano, il bersaglio è già stato raggiunto negli ultimi anni. Come? Cosa?, si chiede lo stupito osservatore del rosario di morti e feriti che costella le cronache. Come ci può essere sfuggito tale meraviglioso obiettivo? Il meccanismo per emanare questa sorprendente affermazione è semplice: negli ultimi tre decenni le vittime sono calate. Sia tra i morti sia tra i feriti. Per i morti si è passati dai 120 del ’91 ai 34 del 2021. Un picco inferiore si è registrato solo nel 2020, quando si era in pieno regime di restizioni da Covid. I feriti invece passano dal picco di 24.858 del 2001 ai 10.000 del 2021. Ecco fatto, la situazione è già migliorata, non abbiamo bisogno di altro, grazie e arrivederci a Milano 30.

C’è da chiedersi se possa esistere un numero accettabile di morti e feriti dunque. A leggere tali castronerie pare di sì, e pazienza se si riconosce che il risultato sia stato ottenuto sia con miglioramenti tecnologici sia, leggo, “alle politiche adottate a livello locale”, e cos’altro sarebbe il limite generalizzato a 30 km/h però non viene minimamente messo in conto.

Penso che chiunque sostenga anche indirettamente una posizione simile sia, al meglio, un cinico di buon spessore, e non nel senso filosofico originario.

Scavando tra la melma social si trova anche qualche perla: per esempio a 30 km/h le moto non stanno in equilibrio. Qui si entra nella psicosi.

Nel frattempo il povero Sala, proprio prima delle regionali, cerca di mettere pezze alle polemiche dice ma no, non subito, non in tutta la città, vedremo, se ne parla, è un suggerimento: e tanto per dimostrare di essere sul pezzo volerà (a 7 anni dalla prima elezione) a Londra e Parigi per studiare cos’hanno fatto Sadiq Khan e Hidalgo. Meglio tardi che mai.

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