Sì: viaggiare

Non evasione ma immersione: questo è il senso profondo del viaggio in bici, che è radicalmente diverso da quasi ogni altro viaggio. Ne ho conoscenza diretta perché non solo viaggio in bici ma lo faccio anche via mare, a vela, da decenni. Una dimensione radicalmente differente da quella terrestre di superficie, e per questo nel viaggio in bici trovo una sorprendente assurdità: nel mio modo di interpretarlo il girovagare in bici è un’esperienza sensoriale intimamente legata alla parte inorganica del mondo.

Può naturalmente sembrare assurdo ma, a differenza dell’immersione nel pozzo antropico del mondo se viaggio con altri mezzi, mentre lo faccio in bici aria e luce sono esaltati dall’odore della strada, certamente mischiato con quello della vegetazione o dell’impronta antropica circostanti. Ma riesco a distinguere, grazie alla bici. Il percorso in altura lascia sentire la traspirazione delle pietre nel corso delle ore e raggiunge il mio olfatto, così come quello desertico -che prediligo- dove l’odore minerale è aspro, secco, totalmente inanimato, senza traccia del bellissimo verde che è stato il primo abitante di questo pianeta.

Così non è a mare, dove non so perché, o forse per il mio esserci cresciuto/formato accanto, sono assolutamente convinto di viaggiare sulla pelle di un essere organico immenso (a torto, dice la ragione; a ragione, dice l’animale che sono. Dualismo ormai inestricabile e pazienza, va bene così).

Il viaggio come fuga dalla quotidianità si chiama turismo, non è quello che mi interessa. Mettere la ruota anteriore fuori dal portone significa invece anelare al ritorno nella stranissima condizione di non esserne preoccupati più di tanto, o perlomeno questo è uno dei capisaldi del viaggio in bici. “Avventura”, nei nostri immaturi tempi, significa fare qualcosa di speciale da raccontare agli amici se se ne esce interi; ma viene dal latino “ad ventura”, andare verso le cose che accadranno. Non è ricerca di guai da cui sbrogliarsi ma consapevolezza piena del futuro come dimensione totalmente ignota, parzialmente prevedibile ma sicuramente aperta a svolte imprevedibili.
Viaggio in bici come ad ventura significa per me, nel suo livello più lucido ed esperito, andare avanti come un bimbo nel mondo, sempre meravigliato e sempre fiducioso, E’ nel nostro quotidiano che siamo pronti a essere delusi, non certo nella dimensione del viaggio, aperta a tutto compreso la delusione.

E dunque la prima domanda, dopo tutto il pippone filosofico intimistico: qual è il numero perfetto di viaggiatori in bici? La mia risposta, quella che neanche mi dò più, tanto è un lato assodato al pari della forza di gravità, è “1”. Il viaggio in bici lo fai da solo, e siete pure in troppi a dire il vero. Quando ne parlo con altri mi nascondo dietro le scuse plausibili standard, ovvero “ognuno ha il suo ritmo, può succedere di litigare per inezie, la fatica porta i nervi a fior di pelle”.

Tutte cazzate. Ma come faccio a dire “voglio stare con me, immerso nella parte inorganica mentre sono ancora in vita”? Ne partirebbero discussioni anche potenzialmente offensive, lascio perdere dunque.

Per altri però -e li capisco- l’immersione non è tale se non condivisa.
Esiste un testo molto lontano da chi si interessa di bici che spesso cito a chi ha questo tipo di attitudine, ed è “Eolie di vento e di fuoco” di Gin Racheli, scrittrice ora non più tra noi, che però ha avuto una formazione intensamente sociale, passando la sua prima vita come dirigente industriale e poi attivandosi in un gruppo piuttosto fricchettone (new age anni ’70), l’Unione Coscienza di Milano. Per Racheli la “vacanza” intesa nel senso latino di otium va declinata come spazio di coltivazione interiore di gruppo e al contempo coltivazione ricreativa di sé. Diversi viaggi di gruppo alle Eolie li hanno spinti ad approfondire sempre più quella dimensione, e ne è uscito uno dei più bei libri di viaggio in italiano che io conosca. Credo che si trovi ancora nella collezione Biblioteca del mare di Mursia, tengo la mia copia in grandissimo conto.

Mi allontano da lei, anche se mi ha insegnato tanto. Trovo necessario sentir scorrere le ruote sottili del nostro mezzo, inalare l’odore della Terra, che è in dualismo con il Mare. E imparare nuovamente a orientarsi, nutrirsi, difendersi dal caldo e dal freddo, sentire il lento esaurimento delle forze e fermarsi prima della fine di queste.

Il viaggio in bici è un atto carnale e minerale insieme.

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