Chiamare a raccolta un popolo con 750 euro

Vorrei fissare alcuni punti dopo la Bicifestazione del 28 aprile ai Fori imperiali. Il primo che mi colpisce è la spesa sostenuta per chiamare a raccolta quel “popolo di individualisti visionari” di cui ha parlato Massimo Franchi sul “manifesto” del 29 aprile: abbiamo speso 750 euro in tutto, in circa due mesi di strombazzamento.

Meno di mille euro per una manifestazione piuttosto imponente con migliaia di persone in strada, motivate al cambiamento oggi più rivoluzionario che ci sia: la convivenza in città. Ci sono argomenti più importanti nella vita delle persone, sicuramente. Reddito, salute. Ma un’esigenza collettiva come questa, che riguarda chiunque dal neonato in carrozzina al vegliardo con deambulatore, non mi risulta.
Di questi 750 euro solo 120 sono stati spesi per un’iniziativa durante la chiamata a raccolta, i palloncini che hanno sollevato la sagoma della bici alla fine della bicifestazione. Tutti gli altri sono andati in azioni informative: locandine, flyer, adesivi, striscione e anche pubblicità su Facebook. Una somma irrilevante, raccolta solo con donazioni. La scala per il palco me l’ha prestata un affittabici a via Cavour. L’impianto di amplificazione era sul quadriciclo chiamato “il Poderoso”, di Luca da Firenze, che va a pannelli solari.

La seconda cosa che mi colpisce: l’evidenza della proposta, la sua forza, è in campo da anni e il 28 l’abbiamo solo ribadita. A illustrarla per primo, a fare da portabandiera, è stato un ex deputato, Paolo Gandolfi, venuto a Roma da Milano su una bici da passeggio, Appennino compreso. Il suo è stato l’intervento più apprezzato, per qualità, chiarezza e passione. Paolo oggi è un ex perché il segretario del suo partito, il Pd, non lo ha voluto ricandidare visto che non era allineato ai diktat del Capo. Eppure è stato il solo parlamentare a fare qualcosa di concreto, la legge quadro sulla ciclabilità, nella scorsa legislatura. La figura di Paolo mostra quanto il cosiddetto sistema se ne freghi delle nostre proposte; questo menefreghismo costante negli anni ci ha portato appunto a manifestare nuovamente.

La terza cosa è stata la presenza cortese e defilata di Virginia Raggi, che era in bici accompagnata da marito e figlio (e una scorta semi invisibile, più l’addetta del cerimoniale e quella stampa). Mi ha chiesto se doveva dire qualcosa, le ho detto che parlavamo solo noi “movimentisti”. E’ stata molto gentile ad accettare questa impostazione (è la sindaca di Roma), e non so quanti politici avrebbero preso così bene un “no”. Ai giornalisti ha poi dichiarato che era lì in forma privata.

Ora, come scriveva quello, “che fare?”. Qui dico la mia senza impegnare nessuno: non serve una nuova associazione nazionale ma serve avviare un coordinamento nazionale che supporti i territori e segua da vicino le azioni o la loro mancanza da parte di chi transitoriamente incarna l’amministrazione. Siamo nella condizione di non poter più accettare adesioni di facciata o meno, né convegni in stanze anche grandi: è fin troppo tardi per l’azione. Dobbiamo continuare a chiedere a tutte le amministrazioni di rivolgere decisamente l’azione sulle condizioni della circolazione stradale e ribaltare la piramide delle priorità. Serve una decisa, collettiva e coordinata azione che espella le automobili dalle città, qualsiasi sia il loro sistema di trazione. Questo è il nocciolo della “rivoluzione più bella del mondo” (Gandolfi™).

Il compito del movimento che ha dato vita sei anni fa a questo dibattito deve rimanere identico: pulviscolare, pervasivo, imprendibile e inclassificabile, e tuttavia capace di portare migliaia di persone in piazza con 750 euro e due mesi di tempo. Sono orgoglioso dei miei compagni di squadra ma adesso è ora di archiviare il 28 aprile e lavorare al suo dopo. Da subito.

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