Qualche giorno fa nella mia via si è verificato un black out elettrico lunghissimo, uno dei maggiori che ricordi: più di 5 ore senza corrente. Era il primo dei giorni infuocati che stiamo vivendo in questo periodo, e il giorno dopo ho letto che anche a Milano si erano verificati fenomeni simili; immagino che anche il altre zone d’Italia ce ne siano stati. Ho immediatamente individuato la causa all’accensione contemporanea dei condizionatori intorno a me, cosa che poi mi è stata confermata dai tecnici dell’Areti venuti ad aggiustare la centralina locale, e senza che glielo suggerissi io.
In casa non ho condizionatori ma ventole da soffitto, tre molto grandi (semplici, eleganti, silenziosissime; e poco costose), una più piccola: ci siamo organizzati così proprio per non partecipare allo spreco di energia: ventole, ombreggiamento ragionato e creazione di correnti d’aria bastano anche in queste temperature fuori norma. Naturalmente senza corrente le ventole non funzionano e ci siamo arrangiati con docce, ombreggiamento e correnti d’aria. Ma abbiamo comunque pagato lo scotto delle decisioni altrui, prese immagino senza alcuno sforzo di cercare un’alternativa meno impattante e forse anche grazie al bonus condizionatori ancora in atto (recuperi di quanto speso dal 50 al 65%). Non mi risulta che ci siano bonus ventole.
Trovo delle forti somiglianza con quello che accade in strada nel paese subalpino che si gloria di essere bello. Gli spostamenti personali si effettuano essenzialmente su autovetture di proprietà che generalmente ospitano solo chi le guida malgrado occupino uno spazio una decina di volte maggiore di quello di un corpo umano, pesino parecchie decine di volte di più e impattino negativamente su ogni aspetto della vita collettiva in strada. Ma, al parti dell’accensione di un condizionatore quando si vuole il fresco, l’umano standard non si dà pensieri e accende motori estremamente potenti per incolonnarsi collettivamente in strada.
Sono fenomeni identici e nascono da quella che definisco “l’inerzia della normalità”. La migliore definizione di normalità che ho trovato finora appartiene a una ricercatrice tedesca, ed è “ciò che non ha bisogno di spiegazioni”.
Decenni di marketing del sistema economico oggi dominante hanno portato a questo tipo di normalità centrata sull’interesse personale nascondendo con la massima cura i riflessi negativi sulla collettività. L’eterna altalena tra egoismo e altruismo, entrambi in antropologia strumenti che hanno consentito li sviluppo della nostra specie.
All”atto pratico, per chi vuole avere una vita migliore di quella proposta dal marketing, l’effetto è frustrante: tu cambi personalmente modo di stare al mondo ma se quasi tutti giocano al ribasso, vai in basso anche tu: non si scappa, se non a tratti.
Va spiegato perché gente come me -che sta aumentando, ma poco- fa scelte diverse, dunque “anormali”. Generalmente la spiego puntando sulla profondità e l’intensità del gusto di fare questo o quello, e uso l’esempio del pane fatto in casa: il suo odore non può essere comprato in nessun luogo, ed è obiettivamente gustoso avere l’odore del pane in casa. Così anche per l’uso di bici più treno, dove qualcuno guida e tu sei con il tuo mezzo dentro una carrozza a leggere, dormire o chiacchierare. Ma, come nel proverbio, se il cavallo non beve non c’è niente da fare.
In futuro proverò a consigliare la visione di “Perfect Days” di Wenders per provare a far capire quanto imperfect siano i nostri days collettivi: è un film sulla semplicità e del gusto di vivere per vivere.