Nel mio laboratorio campeggia da anni, insieme alle altre immagini che ritengo significative per quel luogo concreto e magico, una foto tratta da una prima pagina de “il manifesto” di tantissimi anni fa. Un gruppo di ragazzini in bicicletta supera ridendo una colonna di carri armati britannici durante l’invasione dell’Iraq organizzata per levarsi Saddam Hussein di torno. Ho trovato allora, e continuo a trovarla ogni volta che entro nel posto dove costruisco le mie bici, che fosse l’immagine perfetta per illustrare, in buona sostanza, tutto ciò che vedo in una bici.
Reagisco con un certo fastidio quando chi mi conosce appena scambia la mia fascinazione per il mezzo come una passione, un feticismo, al pari di quelli che definiscono “ciclista” chi pedala, mettendo costui o costei nell’angolo della definizione ludico sportiva.
C’è immensamente di più, nell’utilizzo della bici o meglio nella sua scelta come mezzo personale unico -o privilegiato, per chi ancora non ce la fa ad abbandonare del tutto i motori-: è essenzialmente una diserzione dal sistema economico dominante.
Non vi piace la parola diserzione? Io l’adoro e la pratico quotidianamente, e Caparezza in una sua canzone illustra bene il concetto. Diserzione a tutto tondo e non solo rifiuto delle guerre per il petrolio come recita un bel cartello giallo -anche quello nel laboratorio- escogitato dal frontman della Critical Mass di San Francisco, Chris Carlsson, che mi regalò anni fa passando da casa mia. Sì, ovviamente anche quello: ma rifiuto di ogni guerra, a cominciare da quella che il sistema economico dominante ha mosso da anni agli umani, con metodi così suadenti che non sembra una guerra ma anzi un approdo mitico, il paradiso dell’abbondanza, l’obiettivo massimo a cui aspirare e da perseguire, plaudenti tutti.
Così come le mani sono l’estensione visibile del cervello, così il mezzo bicicletta è l’estensione visibile del pacifismo, pratica intesa come rifiuto del conflitto armato in qualsiasi caso. Un uomo o una donna in bici sono l’immagine più innocua che possa dare di sé quel predatore primario che è l’essere umano. Chiunque di noi può praticare la ferocia, la ricerca è sapere che si può ma non farlo. Anch’io, come te, posso essere preda di emozioni negative forti: l’obiettivo è lavorarci sopra, capire che ti stai lasciando andare ed evitare di farlo.
Evito di muovermi su mezzi motorizzati e non solo per non sprecare idrocarburi -materiale nobilissimo che dovrebbe essere usato con cura e con accortezza, non buttato nelle camere a scoppio per muovere mezzi enormi che trasportano quasi niente. Lo faccio anche per non sprecare inutilmente spazio, per non buttare calore o fumi vari nel luogo comune che è la città o il pianeta; per uscire dalla spirale che compra e butta quando si rompe; per, in definitiva, non uccidere né persone se dovessi colpirle inavvertitamente né il mio circostante. Per riappropriarmi della mia libertà di movimento.
Immagino che sia con questo spirito, o simile, che Emergency e Fiab organizzino la prima edizione di “Pedaliamo per la pace” durante luglio: da Milano a Brindisi a tappe e turni per percorrere la distanza tra Roma e Kiev. Atto simbolico e, nella mia sensibilità, omeopatico. Ma significativo: quale altro mezzo può simboleggiare la pace?