Prosegue il mio insano viaggio nel disagio automobilistico romano. Dopo il surreale incontro con i soci dell’associazione Berlinguer, contrari alla ciclabile sulla Tuscolana anche perché aumenterebbe l’inquinamento, questa settimana ho voluto conoscere altra gente che protestava contro un intervento stradale, in questo caso a favore del trasporto pubblico.
Stavolta si tratta della costruzione di due cordoli in cemento a protezione della preferenziale dedicata a tram e autobus su via Emanuele Filiberto, stradone che collega piazza San Giovanni a piazza Vittorio.
La vita di questa preferenziale inizia con timidezza: progettata due anni fa circa senza prevedere cordoli, ma riprendendo un percorso degli anni ’30 che era rialzato e con marciapiede, è stata realizzata anch’essa tra polemiche. Però presto scomparse perché tutti i motorizzati si sono resi conto già dall’indomani che potevano tranquillamente sbattersene di rispettarla, e quindi le due strisce di vernice erano al più un utile reminder in caso di presenza, rara come il 29 febbraio, di qualche vigile. Il comune decide quindi di dotarla di cordoli antiscavalco.
Apriti cielo. Il cantiere aperto a settembre è stato subissato di proteste, fino all’organizzazione di una manifestazione di commercianti durante la chiusura per pranzo, con qualche residente a dare manforte. Ormai avvinto dalla stramba umanità che lotta a difesa della sacra vettura e del suo diritto divino a fare quel cavolo che vuole, vado a vedere anche questa. Una quarantina di persone con fischietti, e megafono a turno, molti anziani ma anche qui qualche giovane, un piccolo sottobosco della destra romana di zona a gestire la protesta. Il tipo che si presenta come organizzatore mi invita, con un fare sornione che non riesce a dissimulare, a dire la mia. Certo, che problema c’è. Aspetto il mio turno ascoltando gli altri: anche qui si parla di inquinamento alle stelle, e inoltre di attraversamenti pedonali resi impossibili e di sosta resa impervia. Nessuno cita, come al solito, la doppia fila di cortesia, quella con le quattro frecce dell’emergenza. Però registro uno scatto in alto dell’ipocrisia motorizzata: secondo alcuni degli intervenuti, il cordolo sarebbe inutile perché “tutti rispettano la preferenziale, sempre”. Intervengo qui, svelando loro che ben due attivisti e abitanti della via diffondono, ormai da tempo, foto dall’alto che testimoniano l’immane bordello quotidiano sulla preferenziale, con i mezzi pubblici incastonati tra privatissime lamiere. “Falso, allora stampale e faccele vede’”, dice uno (l’indomani la foto sarà su Repubblica, grazie a questo assist del tizio).
Mi viene consegnato il megafono, provo a centrare il mio discorso sulla necessità di proteggere il Tpl dalle invasioni di campo; “so che siete incazzati, ma provate a considerare che la vostra è una visione soggettiva, non oggettiva, della viabilità, e che…”. Vengo sommerso di urla e macheccazzodici, c’è chi mi accusa di “non sapere l’italiano”, e di essere anche vestito male. Nessun problema, la folla è quel che è, però vedo negli occhi di qualcuno flebili barlumi di ragionamento quando gli ricordo che i loro mancati incassi non derivano dalla mancata doppia fila ma dalla concorrenza della Gdo e del commercio via web. Azzardo a pronunciare la parola “pedonalizzazione” e il mio intervento finisce bruscamente, però senza violenze.
Proteste simili si stanno verificando anche nella zona del quartiere Africano, un settore che non frequento, sempre per lo stesso motivo: i cordoli. Resto comunque affascinato (è una perversione, credo) dalla difesa a brutto muso del diritto alla doppia fila e allo scavalco in preferenziale. Senza mai nominare i fenomeni in questione, però.