E’ uno strano sogno, quello che abbiamo vissuto in questi mesi e che probabilmente stiamo continuando a vivere. Le nostre abitudini stravolte in profondità, ognuno ha scavato nel suo immaginario le risorse per adattarsi all’imprevedibile, e fortunato chi un immaginario funzionante ce l’ha. Tra questi la sempre meno rara specie dell’homo cyclens, essere ben definito da Didier Tonchet come un “inventore urbano”.
Chi avrebbe mai immaginato le lunghe file per entrare nei negozi di bici? E non solo per il distanziamento fisico, l’ho testato personalmente. Nei negozi, e lo testimonia anche il ramo di Confindustria che si occupa delle due ruote, l’Ancma, non ci sono quasi più biciclette, e questo da prima della decisione finale sul bonus.
Parliamo del bonus: chi mai avrebbe immaginato, solo a dicembre scorso, un aiuto all’acquisto di 500 € per il 60% del valore del mezzo? Ragazzi, è uno sproposito. “Ben più che generoso”, ammetteva l’altro giorno il presidente dell’Ancma, sbalordito pure lui tanto da dire che non gli interessava granché una richiesta di ulteriori fondi. Capite? Confindustria, la cosa più lontana da quel comune sentire che ha fatto rinascere a nuova vita le biciclette nelle ciclofficine popolari e nei laboratori dei visionari come me. Facendo i calcoli, se usato appieno il fondo di 120 milioni -tirato fuori dal freezer- del decreto Clima dal generale della guardia forestale oggi ministro, Costa, sarebbero 240.000 mezzi in più. Per me sono niente, eppure sono molto se solo mi ricordassi di pensare in modalità standard.
Domenica 17 maggio da ogni città d’Italia, nella mia bolla social, si alzavano voci stupefatte: “oggi è pieno di gente in bici”. A Roma sicuramente qualche migliaio di famiglie in strada. Neanche durante l’austerity degli anni ’70 ho visto una cosa così.
Sì, è probabile che sia una reazione di liberazione, di necessità smaltitoria (chili e nervosismo accumulati), quello che volete. Ma è successo davvero, e persino nella capitale di Coattiland lgli automobilisti non hanno perso la testa come al solito.
Già, l’automobile. Qui il sogno in atto tenderebbe a sgretolarsi. Manca qualcosa nel piano generale di rifacimento del mondo: il disfavore da rivolgere a tutto il sistema automotive. Nel tavolino bonus bici – corsie ciclabili manca la terza gamba, il malus auto.
L’oscena vicenda del prestito agevolato a Fca ci ha sbattuto in faccia la secchiata gelida del vecchio sistema che ancora comanda, e che ci ha condotto al più miserevole stato di esistenza in presenza di ricchezza che si possa immaginare.
Servono disincentivi auto. Proviamo a immaginarli. Per esempio una tassa legata esponenzialmente a peso e volume dell’autovettura; la pedonalizzazione totale delle zone di pregio delle città, per esempio quelle la cui architettura è protetta dai Beni culturali (a Roma potrebbe essere anche Garbatella, a Milano il Giambellino, a Palermo Mondello, e via così); stazionamenti esclusivamente a pagamento; un sistema che sia in grado di riconoscere il pieno carico (5 persone) del mezzo e dunque sanzioni fiscalmente lo scarico (la solita monopersona nell’abitacolo); un mese di circolazione in bicicletta propedeutico all’esame della patente auto; l’imposizione di un colore unico, il marrone opaco, per la carrozzeria; l’obbligo, tra i documenti di acquisto, di una liberatoria dell’Agenzia delle entrate che certifichi l’essere in regola con il fisco (e ci siamo tolti di mezzo metà parco circolante).
Il sistema si è “dimenticato” di questo: per favorire la ciclabilità bisogna sfavorire l’automobile.
Mi piace il tuo stile. Buon lavoro!
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“Nuoce alla salute” dovrebbe essere scritto su tutte le auto come per le sigarette.
Basta spot auto che alimentano una fascinazione del mezzo-oggetto con ambientazioni discordati con il reale utilizzo del mezzo.
“Nuoce alla salute” dovrebbe essere scritto su tutte le auto come per le sigarette.
Basta spot auto che alimentano una fascinazione del mezzo-oggetto con ambientazioni discordati con il reale utilizzo del mezzo.