Tra le varie capriole degne di Alice nel Paese delle meraviglie che questa -orrenda? simbolica? Preferisco la seconda- vicenda della pandemia ci ha consegnato ce n’è una che trovo abbastanza divertente. Se riuscite a ricordare la vostra vita passata, quella che ha assommato il massimo numero dei nostri anni e che sembra quasi irreale, allora ricorderete anche cos’era quella quiete statica dell’ordine stradale imperante dagli anni ’70: al di qua dei marciapiedi la vita organica, al di là la presenza inorganica delle automobili. Tutto immutato per anni. Ogni tentativo di redistribuzione dello spazio pubblico era tacciato di futile idealismo e al meglio di ambientalismo da terrazza militante. Nulla si muoveva: le persone ai margini, lo “strumento serio”, quello che dà da mangiare e muoversi, al centro della viabilità, intoccabile come una vacca in India.
Poi la clausura imposta, serrande che da gerundio diventano imperativo e mai alzate per settimane, città vuote di corpi, il buio dell’anima. E in questo caso anche del commercio spicciolo di ristoranti, bar e locali d’incontro. In quel piccolo caso la soluzione è stata semplice agli occhi degli amministratori, per una volta illuminati da chissà quale genio: concedere spazi pubblici per i tavolini, senza nulla a pretendere, per ridare fiato agli esercenti. E alle persone, che nei mesi bui avevano capito cosa significasse essere isolati in casa.
Fino a qualche mese fa, quando come un Brunetta qualsiasi gli amministratori hanno pensato che si fosse tornati al vecchio mondo e quindi pensando di ridare spazio al Moloch automobile.
E’ in particolare successo a Milano, dove la giunta pseudoambientalista Sala ha tentato di fare il colpaccio, escogitando il ritorno all’ovile dei tavolini grazie alla formula della “stagionalità dei dehors”: in sostanza nei sei mesi più luminosi i tavolini potevano stare, nei sei mesi più bui potevano tornare le automobili. Una specie di rivisitazione del mito di Persefone/Proserpina.
La cosa stava per essere votata in consiglio a metà dicembre, quando accade l’imprevisto: un consigliere della Lista Sala (!) propone di eliminare la stagionalità; l’opposizione ci si tuffa; la proposta passa.
Sconcerto nella giunta. Parole cariche di dolore per il lavoro perso vengono emesse in particolare dall’assessora competente, Alessia Cappello (Iv): “La visione personale di una città senz’auto, obiettivo che nel lungo periodo tutti condividiamo, si è andato a sommare a un momento di confusione in aula ed ecco il risultato. Rispetto al lavoro fatto c’è amarezza, certo”. Resta da capire come questa visione, si badi bene “nel lungo periodo”, possa venir realizzata.
Ma attenzione: quel consigliere non era uno sprovveduto, né complice dell’opposizione. Marco Mazzei è un cicloattivista di lunga data e ha effettuato un vero blitz. Con il candore feroce che contraddistingue ogni persona limpida: “se l’obiettivo è questo, la strada per raggiungerlo è quella”. E lo ha fatto, semplicemente. Apprezzabili le parole di un cronista locale: “in alcune vie l’invasione (dei dehors, ndr) aveva sottratto spazio vitale al passaggio di pedoni, moltiplicato il rumore e il caos e soprattutto cancellato di colpo 2.400 parcheggi”.
“Soprattutto”. La parola chiave.