“La magia della bicicletta” è anche la sua capacità di generare conflitto sociale

“La bicicletta è assurta a un nuovo ruolo: quello di rovinafamiglie. La donna in questione è la signora Elma J. Dennison, di anni 23, residente a Brooklyn al 513 della Quinta Strada. Una «ragazza in bicicletta» che monta un veicolo da uomo e indossa pantaloni alla zuava. Sposata con Charles H. Dennison nel 1892, era dedita alle faccende domestiche, accresciute dall’arrivo di due graziosi bambini, fino al fatidico momento in cui il marito le ha regalato una bicicletta. Il signor Dennison racconta che la moglie è caduta vittima della febbre della bicicletta fino ad arrivare a trascurare tutto il resto: casa, figli e marito stesso. Viveva solo per la dueruote, e in sella a essa. In poco tempo è passata al modello da uomo, abbandonando le gonne in favore dei calzoni alla zuava. Da quel momento la signora dice che il coniuge ha cominciato a maltrattarla, tanto che è stata costretta a lasciarlo e ad avviare una causa di separazione per vessazione. Il signor Dennison sostiene che la moglie sia una maniaca della bicicletta e avanza come prova un messaggio ricevuto di recente: «Caro marito, incontriamoci all’angolo tra la Terza e la Settima, portami i pantaloni neri, una latta di lubrificante e la chiave inglese»”. “The Wichita Daily Eagle”Wichita, Kansas, 1896.

“Chris Heller ha presentato istanza di divorzio da Lena Heller presso il tribunale di Common Pleas per negligenza aggravata. A riprova del fatto afferma che la donna si rifiuta di ottemperare alle faccende domestiche e di preparare i pasti, essendo vittima della

mania della bicicletta e trascorrendo in sella quasi tutto il suo tempo in compagnia di persone estranee alle buone maniere”. «Akron Daily Democrat», Akron, Ohio. 1899.

“Domenica la polizia si è imbattuta in un terribile caso di maltrattamento. L’ex consigliere comunale Frank Dietz ha messo i ceppi ai piedi della figlia per non farla uscire di casa. La ragazza voleva andare a spasso con la bicicletta, ma il padre glielo aveva proibito e, temendo che potesse farlo in sua assenza, l’ha incatenata”, «The Des Moines Register», Des Moines, Iowa, 1896.

Questi sono tre brani tratti dal quinto capitolo di un libro strano che mi è capitato di leggere e addirittura gustare, “La magia delle due ruote. Storie e segreti della bicicletta in giro per il mondo” di Jody Rosen (Bollati Boringhieri, 350 pp, 26€ nella versione su carta). Dico strano perché per una volta non mi capita di imbattermi in specie di autobiografie, descrizioni appassionate di congegni meccanici, esaltazioni di questo o quel campione sportivo, e -il peggio- soporifere descrizioni di viaggio. Eppure si tratta di 350 pagine, che ci sarà mai scritto dentro? Di tutto, e in una buona maggioranza di casi narrazioni molto interessanti. Mi sono focalizzato sul quinto capitolo perché si intitola Ciclomania, termine che trovo piuttosto vicino alìi miei gusti ma che da subito tratta del rapporto conflittuale tra i generi agli albori del mezzo più efficiente che l’umanità abbia escogitato. Un conflitto che dura ancora oggi, come si vede dalle notizie che ci giungono da luoghi dove le donne soffrono di segregazione patriarcale avvolta dentro la facile carta stagnola della scusa religiosa, ma anche dalle varie rivendicazioni femministe che stanno riprendendo piede oggi qui e lì sul pianeta con ancora una volta la bici come mezzo di emancipazione.
Ciò che mi ha interessato particolarmente è lo sguardo di Rosen, (scrittore e giornalista statunitense, i suoi articoli su cultura, politica, trasporti e musica sono apparsi su «New York Times Magazine», «The New Yorker», «Slate», «Los Angeles Times») che spesso indugia sul mezzo bici come portatore di sconvolgimento sociale da qualunque lato lo si maneggi. La prima parte del libro esamina per esempio come il mezzo oggi “cavallo del popolo” sia nato come giocattolo per ricchi e abbia avuto la sua prima fase espansiva nelle classi nobiliari, attirandosi dunque le ire delle fasce basse della società. Un capitolo è dedicato ai tempi nostri e al Bhutan, staterello asiatico noto per aver inventato il principio-slogan della “Felicità interna lorda” come misura per valutare le performance economiche al posto del Pil. Qui il lancio della bicicletta come mezzo popolare è avvenuto ancora una volta grazie ad un’iniziativa nobiliare e addirittura concentrata in una sola persona: direttamente il re, anche lui caduto come molti di noi nella fascinazione totalizzante che spesso il mezzo induce. Notevole venire a sapere che in Bhutan non esistono altro che pendenze e dunque la pratica della bici è piuttosto complessa.

Ma è la capacità della bici di generare conflitto che mi interessa particolarmente e, a parte il capitolo finale sul cicloattivismo che non mi ha portato informazioni ulteriori, è il fil rouge che unisce la narrazione. La bici, nata per risolvere problemi, per fattori antropici ancora largamente misteriosi (non ho trovato spiegazioni convincenti da Rosen ma neanche lui se ne capacita) diventa stranamente un mezzo che pone altri problemi e tutti essenzialmente di percezione. Crea tifoserie contrapposte, a volte anche aspramente. In un caso si è anche prestata alla follia della corsa all’oro nel Klondike -esempio lampante di volontà brutale di arricchimento personale a discapito di quasi tutto, vita compresa, quindi lontanuccio dal mio modo di vivere-. Parecchi cercatori scelsero la bici per raggiungere il prima possibile i luoghi di cui si favoleggiava: in quel caso la due ruote si mostrò paradossalmente più veloce persino delle slitte, per motivi che Rosen illustra nei particolari. All’opposto dei cercatori, Rosen segue da vicino anche il pedalatore di un riscò della capitale del Bangladesh, Dacca, che dalla descrizione appare come la scenografia urbana più vicina all’inferno di cui si possa leggere, se non si considerano i libri di Dominique Lapierre.

Nei diversi libri che mi è capitato di leggere sull’argomento “bicicletta” ho travato qui e lì gli argomenti che Rosen tratta, ma non tutti insieme come in questa uscita editoriale.

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