La risposta italiana alla lezione giapponese: Free Park

La lungimiranza è una qualità che ha bisogno di riflessione per diventare strategia, la rabbia al contrario è il gesto animalesco, che pure ci appartiene, che prende vita soprattutto dallo spunto personale. Nessuno dimentica la storia del sindaco giapponese criticato per anni per aver costruito un muro antitsunami: una ventina d’anni prima del disastro del 2011. Da allora in poi i suoi concittadini lo portarono in spalla. Lezione da noi incomprensibile -qui si parla di ponte sullo stretto di Messina-, che mi è tornata in mente dopo l’iniziativa, incredibilmente bella, della rivista Internazionale di pubblicare il numero di qualche settimana fa il titolo di copertina “Senza le auto le città rinascono”, ad illustrarla una grande bici a canna bassa (non si dice “da donna”, ricordatelo) che nel cestino anteriore ha dei palazzi, quasi ad abbracciarli con amore. Si parla di Tokyo e del Giappone.

Per quelli come me è stato un fulmine, abituati a sfogliare pubblicazioni che una pagina sì e una no reclamizzano la superiore, strafottente, orgasmatica potenza automobilistica. L’iniziativa di Internazionale, settimanale molto apprezzato che da 30 anni apre una finestra sul mondo agli italiani, è stata fuori dal coro.
Ancor di più andando a leggere che non si trattava come abituale della traduzione di un articolo ma dell’estratto di un libro, Carmageddon: how cars make life worse and
what to do about it
, di Daniel Knowles, giornalista del settimanale britannico The Economist. E’ con tutta evidenza una scelta di campo.

Otto pagine in cui Knowles spiega come Tokyo, metropoli vera di quasi 14 milioni di abitanti e non un paesotto come le nostre città, sia una città sostanzialmente demotorizzata. Tra le cose che mi hanno colpito: il risultato di Tokyo è un misto di scelta e casualità: il 35% delle strade giapponesi non sono abbastanza larghe da far passare un’auto, nell’86% se una macchina si ferma blocca tutto il traffico; dal 1957 è vietato lasciare automobili per strada di notte, sequestro e multa di 200K yen (circa 1.300€); in oltre il 95% delle strade giapponesi il parcheggio è vietato anche di giorno; dalla ricostruzione del dopoguerra tutto il mondo ha puntato su strade e automobili, in Giappone su ferrovie (e l’alta velocità nasce lì); i costi sono elevati anche se la benzina costa 1€;revisione obbligatoria biennale 670€; non puoi comprare un’auto se non dimostri dove saperla mettere, garage di proprietà o affittato, e lo spazio costa molto, quindi se proprio insisti ti compri una scatoletta piccola; il parcheggio a pagamento costa 6,5€ l’ora; pedaggi autostradali cari, in media 20€ per 100 km; stazioni ferroviarie come valorizzatore urbanistico, all’opposto del resto del mondo dove sono incubatori di disagio: si costruisce e si investe in appartamenti e locali nelle vicinanze, rendendo più facile la vita a tutti.
Da noi invece abbiamo fenomeni solitari come Free Park, il writer che giustamente sfoga la sua rabbia contro le auto parcheggiate ovunque verniciandole con la bomboletta.
Trovate le differenze.

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