Le due Italie incompatibili

Lungo le strade italiane i nodi stanno venendo al pettine: esistono due società non solo differenti e distantissime, ma a mio parere anche incompatibili. Questa infungibilità non è semplicemente filosofica ma pesantemente concreta e porta alla morte. Mentre scrivo nelle strade di Roma e provincia siamo arrivati a 75 persone rimaste uccise per scontri stradali dall’inizio dell’anno, una media terrificante di un morto ogni due giorni e mezzo.

A rendere evidente questa diversità antropologica è stato lo scontro degli ormai stranoti youtuber, il caso lo conoscete tutti: il challenge di 50 ore a bordo di una Lamborghini affittata, finito bruscamente contro una Smart con il risultato di uccidere un bambino. Tutto quello che è successo dopo può portare a qualche distrazione: l’inchiesta, le perizie, la scoperta tra molti adulti che esistono dei fenomeni come questo, ci si interroga sul reddito da click, sui giovani diseducati da genitori fragili. Tutto vero: ma il focus resta sul modo divaricato di vedere il mondo su cui vorrei concentrare l’attenzione. Nella mia testa è rimasta quella frase di uno dei disgraziati postadolescenti: più o meno “ma levate co sta Smart, pagata 300 euro al Conad, la mia costa un miliardo, vale come Amazon”. Qui c’è tutto: il disprezzo monetizzato, disprezzo per la normalità di chi va al supermercato, l’ammirazione per l’azienda dell’uomo più ricco del mondo, il diritto a prevalere perché sei seduto su una montagna di denaro, poco importa come l’hai fatto, l’importante è che su quella montagna ci sia seduto tu. Prevaricazione, sopraffazione, disprezzo per il più debole. Cose che ci ha insegnato il recente morto santificato a reti unificate. Sono in mezzo a noi da sempre ma solo negli ultimi trent’anni sono state elevate a sacramenti.

Dall’altra parte c’è una società che da anni si interroga sulle conseguenze negative del modo prioritario di spostarsi in Italia e decide di agire per cambiare le condizioni date. Un esempio è il gruppo di ricercatori del Politecnico di Milano che la scorsa settimana hanno fatto conoscere un loro studio -idea nata dopo la morte lo stesso giorno di novembre di Davide Rebellin e Manuel Lorenzo Ntube: un campione e un ragazzo, comunque rimasti uccisi-. Il risultato è stato un documento unico in Italia, e ci si sorprende anche che nessuno ci avesse pensato prima, un Atlante che incrocia dati georeferenziati indicando con precisione estrema dove, come e quali siano i punti stradali di crisi in cui una persona in bici ci può restare secca se ne incrocia una su un mezzo motorizzato. L’Istat non ci aveva mai pensato. Dallo studio emergono altre evidenze, come il fatto che tra i morti e feriti in bici solo un quarto si è fatto male in autonomia, il resto è stato investito.

Queste due Italie sono incompatibili e non possono coesistere in strada a meno che non si accetti che il semplice spostamento possa portare alla morte, in qualsiasi momento.

Per me ciò è inaccettabile ed è ora che in questo paese si scelga da che parte stare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.