Non andate a Rotterdam

Mancavo dall’Olanda da più di venti anni, quando ci passai oltre un mese per mettere a posto e poi far viaggiare fino al Mediterraneo la barca in acciaio che ancora ci accompagna nelle nostre navigazioni. Gli olandesi hanno una storia di eccellenza nella carpenteria nautica in metallo: le grandi barche a vela da carico che portavano merci su e giù per gli infiniti canali (un’infrastruttura, tra le tante, che in Italia non esiste e che c’era solo lungo il Po, ma lasciata andare in favore dell’asfalto) sono ancora naviganti, oltre un secolo dopo la loro costruzione.

Dall’inizio della mia avventura con e per la bicicletta non ho voluto più andare in Olanda, e se per questo neanche in Danimarca, sapendo perfettamente che ne sarei tornato amareggiato avendo toccato con mano l’abisso che separa quei paesi dal nostro, intensamente motorizzato e ancora convinto che la bicicletta sia un utensile sportivo al pari di una racchetta o di un paio di sci. E invece l’esistenza mi consegna una figlia che decide di andare in Erasmus a Rotterdam, lì dove Erasmo è nato. Quindi zitto e buono, con il mio carico di rassegnazione e vettovaglie su richiesta, mi imbarco all’inizio di novembre per andarla a trovare.

L’impatto davanti alla stazione centrale è abbastanza scioccante: freddo a parte, dal cielo cade una cortina d’acqua consistente, condizione meteo locale che la studentessa assicura abituale e che ricordavo anch’io, essendo il cantiere della barca a una ventina di km da lì. Lo shock mi deriva dalla vista immediata di parecchie decine di persone che vedo pedalare sotto l’acqua ma in jeans o gonna e calze. Cerco di intravedere sui loro volti smorfie di disappunto o comunque sentimenti negativi rivolti alla sfiga di pedalare in quelle condizioni e non ne intravedo alcuno. Come difesa dall’acqua solo giubbotti impermeabili e in qualche caso neanche quelli. Di completi antipioggia ne vedo sì e no un 6-7%. Una cosa stranissima, per me che quando butta a pioggia non esco senza avere nelle borse il completo antipioggia e traspirante di buona qualità.

Mi viene da pensare a quella formula stantìa che i benpensanti usano lanciare facendo spallucce a noi attivisti, “ma Roma non è mica Amsterdam”, a ogni tentativo di mostrare la necessità che il nostro paese sviluppi la ciclabilità come nel resto d’Europa, con l’Olanda come capofila. E penso anche al forte vento di quelle lande, che quando arriva dall’Atlantico con il suo carico di freddo e pioggia, trasforma ogni pianura in uno Stelvio.

Le bici che vedo sono esteticamente inaccettabili nella massima parte dei casi. L’incuria nella loro manutenzione mi risalta evidente, in un caso ho fatto la fila (la fila! Mi sembrava di sognare) dietro una ragazza con il filo del freno anteriore penzoloni e pericolosamente oscillante verso i raggi della ruota. In generale sono mezzi pesanti e maltenuti, ma quelli e quelle pedalano ugualmente per andare dove devono.

Qui invece si scannano per auto elettrica sì o no. Un paese di fessi.

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