Vivere in città-trappola non è un destino ineludibile

Piano piano l’argomento comincia a -è il caso di dirlo- farsi strada nel dibattito collettivo: ma in che città stiamo vivendo? Come siamo arrivati a rendere invivibili le nostre tane? In uno degli anni peggiori che si ricordino per mortalità sulle strade, e per le modalità con cui si giunge a una fine di vita anticipata a volte ai limiti della follia (basti pensare alle persone in bici o a piedi uccise da persone alla guida di mezzi pesanti, il caso Milano è eclatante), ci sono sempre più osservatori che -anche se lentamente- stanno inquadrando meglio il problema, a volte usando parole e concetti prese di peso dal mondo dell’attivismo, tradizionalmente indicato come una piccola ridotta di inguaribili sognatori e ingenui fricchettoni. E’ il caso, recente, dell’intervento sulle pagine romane del Corriere della Sera dell’ex pretore antismog come veniva definito negli anni ’90 Gianfranco Amendola, ex magistrato ed ex europarlamentare Verde.

In un intervento dal titolo “Capitale della lamiera”, appunto l’espressione che da anni circola negli ambienti della Critical Mass, Amendola punta il dito non solo sul fiume di sangue versato ma soprattutto, e questa è una novità da salutare come un raro momento di lucidità su un quotidiano, in chiave di occupazione spaziale. “Roma non è più una città per l’uomo -scrive Amendola nel suo editoriale- ma una città per le auto, che presto diventeranno più numerose degli umani”. Benvenuto.

Esiste un curioso esercizio comparativo inaugurato dal blog Turismo senza Auto e poi ripreso dall’altro blog Ambiente e non solo curato da uno dei membri del Kyoto club Marco Talluri: si mettono a confronto l’occupazione spaziale di umani e automobili in diverse città, calcolando che in un metro quadro entrano due persone e un’auto privata ne occupa mediamente 12,5. TsA ha messo a confronto Roma, Milano e Bologna, Talluri è andato oltre e ha applicato il calcolo a 14 capoluoghi di provincia. Non esistono dati attendibili sullo spazio non occupato dagli edifici, e per brevità il calcolo è stato fatto sull’intera superficie comunale, parchi compresi. Risulta che a Roma, quasi 700 veicoli ogni mille viventi e una superficie di 1.287 kmq, lo spazio occupato dagli abitanti è di 1.385.113 mq, quello occupato dalle auto 21.677.018: i quasi tre milioni di romani occupano lo 0,11% dello spazio cittadino. Lo spazio occupato dalle auto è quasi due volte e mezzo dell’area urbana del Lido di Ostia, sottolinea invece Amendola, ricordando che la capitale è la città più congestionata d’Europa e la seconda città al mondo per tempo buttato nel traffico: 21 giornate lavorative all’anno. Secondo l’ex magistrato non ci si può limitare a interventi migliorativi, comunque necessari, dei singoli servizi “se poi continua a dettar legge la città dell’auto con il suo corollario di egoismi, di isolamento e di prepotenze”.

Nel frattempo la situazione in città è precipitata nel caos grazie a quei cantieri che citavo in un mio altro intervento (e avevo dimenticato il rifacimento di piazza dei Cinquecento di fronte alla stazione Termini). I presidi dei licei del centro sono arrivati a tollerare ritardi di 20 minuti perché i ragazzi, banalmente, non riescono ad arrivare in tempo in classe anche se si alzano prima. E questo in meno di una settimana dello strangolamento viario inaugurato sabato scorso a piazza Venezia. Piazza che determina il centro di Roma e che incredibilmente viene ancora percorsa dalla veicolarità privata, una situazione esclusivamente italiana. Personalmente continuo a passare, ho maggiori difficoltà persino in bici, e vado spesso ad ammirare, rapito, l’enorme fila su via del Teatro Marcello alle pendici del Campidoglio, fila che non avevo mai visto con questa consistenza e questa costanza.

Un’altra commentatrice romana, Chiara Valerio stavolta dalle pagine romane di Repubblica, si è lanciata in un’ardita composizione in cui chiama addirittura in causa la bellezza della scuola dell’obbligo, che ha allargato le menti di gente abbrutita da una vita di stenti prima che la scuola fosse obbligatoria per tutti, che a suo parere non è più così bella per il fatto che “il diritto di imparare non è più accompagnato dal dovere di aver imparato”. Tutto questo per accollare ai nuovi semafori installati per la gestione del traffico veicolare la causa del disastro in atto in questi giorni. Che l’abuso di automobile sia la fonte prima di ogni guaio cittadino non salta neanche in testa all’autrice. Eppure sarebbe così semplice: basterebbe realizzare che dalla città trappola si può uscire con le proprie scelte, il resto verrebbe di conseguenza.

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