Per questa primavera assisteremo a un aumento di morti e feriti sulle strade italiane. C’è un’accelerazione in corso sulla riforma del Codice della Strada firmato Salvini: il testo è stato discusso in aula alla Camera, a breve passerà al Senato e potrebbe essere approvato rapidamente. A meno di uno scatto di dignità delle forze politiche che impedisca questa controrivoluzione, che di fatto dà mano libera agli automobilisti e lega invece quelle dei comuni, a cui viene sottratta molta capacità decisionale su Ztl, ciclabili, interventi di traffic calming come le Zone 30. Per una miriade di motivi, che in seguito sintetizzerò, un gruppo eterogeneo di associazioni che gravitano intorno al risanamento stradale, e che per la prima volta hanno promosso presidi e manifestazioni in 40 città italiane dal 9 al 12 marzo, ha rinominato il tomo salviniano “Codice della Strage”. Sono così tante le misure insensate, o forse sensate per chi malsopporta di pedoni e persone in bici per strada visti come ostacoli alla propria esistenza, che risulta difficile elencarle tutte. Lo ha fatto Andrea Colombo, esperto di mobilità e uno dei principali promotori di Bologna 30: se ne parla altrove qui.
L’impianto della riforma ruota intorno a un concetto: avocazione al governo centrale delle modifiche allo status quo e poderose strizzate d’occhio ai comportamenti più pericolosi. Per esempio, nei casi in cui oggi l’automobilista ha l’obbligo di dare precedenza al ciclista, tale obbligo viene trasformato in un fumoso, e insanzionabile, “prestare attenzione”: l’effetto che ne conseguirà sarà chiaramente, a scontro avvenuto, la più classica delle scuse in strada, “si è buttato all’improvviso”. Decine di studi, basati sulla fisica, rilevano che all’aumentare della velocità si restringe il campo visivo: madre di ogni “non l’ho visto” è la velocità insensata in città. Che addirittura potrebbe vedere anche un innalzamento dei limiti: anche questo prospettato nel Codice della Strage.
In sintesi la strategia è quella di non toccare e semmai peggiorare la prevenzione di comportamenti sciagurati, causa del 90% degli scontri stradali (“incidente” è una casualità, quando diventa certezza è una statistica), e colpire repressivamente e a posteriori comportamenti “devianti” come stati alterati dovuti a droghe e/o alcol, che sono il 10% delle cause di morti e feriti. Che nel frattempo si sono verificati e non è possibile riavvolgere il nastro del danno. Il risultato è meno regole, limitazioni, controlli, sanzioni e più libertà di circolare nelle città per i veicoli più veloci e pesanti (quelli a motore) e regole più restrittive e meno spazio e sicurezza per i veicoli più leggeri e gli utenti più vulnerabili.
Una persona perbene si domanda: ma che senso ha? L’unica risposta che riesco a darmi è la ricerca di consenso in fuga stimolando la pancia della società, in Italia largamente motorizzata e ampiamente asociale in strada: alla ricerca di vie, tutte azzardate, per risalire il declino elettorale evidente. Non sono un fine stratega come l’attuale ministro dei Trasporti e c’è anche la possibilità che questa assurda, criminogena manovra sia moneta di scambio per altro che non riesco a immaginare. Ma la strada è l’unico spazio pubblico vero che sia rimasto, ci passa la società intera senza alcuna eccezione. Come sia possibile che la sua gestione venga lasciata in mano ai calcoli pro domo propria di un leader in declino è la domanda che dovremmo porci.
Ai turisti consiglierei di evitare per un po’ l’Italia.